di Alessandro Bovo
Troppi punti oscuri aleggiano sopra la morte di Mohamed Nasiri, il magrebino trentenne che il quattro gennaio ha ucciso, assieme a un complice ancora avvolto nell’ombra, il commerciante cinese Zhou Zeng e la figlia di sei mesi Joy, mentre la moglie ferita è stata ricoverata, in seguito a una rapina.
Domenica pomeriggio il corpo di uno dei due killer, Mohamed Nasiri appunto, è stato trovato appeso a un cappio in un casolare nella periferia di Roma, zona Boccea.
Dopo la prima ipotesi di suicidio, viste le dinamiche, il PM Luca Tescaroli non esclude l’ipotesi di omicidio per vendetta o istigazione al suicidio. Non si sbilancia troppo, ma delle voci dicono che potrebbe essere opera anche della mafia cinese, come vendetta del duplice omicidio.
Troppi particolari, rilevanti per gli inquirenti, hanno reso più complicate le indagini, come per esempio le molteplici tracce che hanno lasciato in seguito ai troppi spostamenti dopo la rapina e l’omicidio. Inoltre, la borsa con i soldi che aveva Zhou Zeng è stata trovata abbandonata, con il contante ancora al suo interno.
E ancora: il magrebino impiccato indossava degli abiti estivi, il cappio era a un’altezza di quattro metri e il casolare poteva essere raggiunto solamente con un mezzo, che non è stato trovato nella zona.
Insomma, troppi misteri per pensare solamente a un suicidio, compreso una ferita sulla guancia sinistra, di cui il medico legale Paolo Procaccianti dovrà dare una spiegazione, insieme alle vere cause della morte dell’uomo. Procaccianti, uno dei medici legali più accreditati di Roma, avrà sessanta giorni di tempo per compiere tutti gli esami che riterrà opportuni per conoscere la verità, a partire da un tac “total body”.
Contemporaneamente i RIS e gli inquirenti analizzeranno e catalogheranno tutti gli oggetti rinvenuti nel casolare: la corda per il suicidio e l’uncino a cui era appesa, un mobiletto, delle bustine di veleno per topi e il telefonino che i militari utilizzeranno nella speranza di arrivare al complice.
Per il momento rimaniamo con non pochi interrogativi: è veramente la mafia cinese ad aver “fatto giustizia”? È un omicidio o un suicidio? Il secondo complice potrà dare una risposta?
Troppe domande, a cui solo il tempo ci permetterà, forse, di rispondere.
Troppi punti oscuri aleggiano sopra la morte di Mohamed Nasiri, il magrebino trentenne che il quattro gennaio ha ucciso, assieme a un complice ancora avvolto nell’ombra, il commerciante cinese Zhou Zeng e la figlia di sei mesi Joy, mentre la moglie ferita è stata ricoverata, in seguito a una rapina.
Domenica pomeriggio il corpo di uno dei due killer, Mohamed Nasiri appunto, è stato trovato appeso a un cappio in un casolare nella periferia di Roma, zona Boccea.
Dopo la prima ipotesi di suicidio, viste le dinamiche, il PM Luca Tescaroli non esclude l’ipotesi di omicidio per vendetta o istigazione al suicidio. Non si sbilancia troppo, ma delle voci dicono che potrebbe essere opera anche della mafia cinese, come vendetta del duplice omicidio.
Troppi particolari, rilevanti per gli inquirenti, hanno reso più complicate le indagini, come per esempio le molteplici tracce che hanno lasciato in seguito ai troppi spostamenti dopo la rapina e l’omicidio. Inoltre, la borsa con i soldi che aveva Zhou Zeng è stata trovata abbandonata, con il contante ancora al suo interno.
E ancora: il magrebino impiccato indossava degli abiti estivi, il cappio era a un’altezza di quattro metri e il casolare poteva essere raggiunto solamente con un mezzo, che non è stato trovato nella zona.
Insomma, troppi misteri per pensare solamente a un suicidio, compreso una ferita sulla guancia sinistra, di cui il medico legale Paolo Procaccianti dovrà dare una spiegazione, insieme alle vere cause della morte dell’uomo. Procaccianti, uno dei medici legali più accreditati di Roma, avrà sessanta giorni di tempo per compiere tutti gli esami che riterrà opportuni per conoscere la verità, a partire da un tac “total body”.
Contemporaneamente i RIS e gli inquirenti analizzeranno e catalogheranno tutti gli oggetti rinvenuti nel casolare: la corda per il suicidio e l’uncino a cui era appesa, un mobiletto, delle bustine di veleno per topi e il telefonino che i militari utilizzeranno nella speranza di arrivare al complice.
Per il momento rimaniamo con non pochi interrogativi: è veramente la mafia cinese ad aver “fatto giustizia”? È un omicidio o un suicidio? Il secondo complice potrà dare una risposta?
Troppe domande, a cui solo il tempo ci permetterà, forse, di rispondere.