di Raffaella Alladio
Ipazia nasce ad Alessandria d'Egitto nel 370 d.C.
Scienziata e filosofa, muore combattendo nel 415 uccisa dal fanatismo cristiano nascente.
Donna di coraggio oltre che di sapienza ha saputo cogliere la natura dell'umano essere attraverso la scoperta e l'accettazione della propria vita personale.
L'emozione e l'intelligenza che emergono dalla lezione di commiato fanno volare queste parole nei secoli rendendole adatte ad ogni presente.
Ipazia guarda al futuro dell'uomo, proprio quando si sta congedando dal suo essere uomo, con il coraggio che ha solo chi asseconda veramente se stesso, il realismo di chi ha usato profondamente la propria intelligenza per tutto il tempo della propria vita e la speranza di qualunque essere umano capace di amare veramente: il buio dei dogmi e del loro imporsi; la violenza di un'ignoranza sfruttata con la conoscenza e la forza dell'individualità capace di rimanere in piedi educando se stessa.
Il tempo che stiamo vivendo ha un sapore antico e se non vogliamo ancora e sempre che la violenza dell'ignoranza venga sfruttata dalla conoscenza che ha in mano il potere, forse è il momento di usare il consiglio di Ipazia: "continuate a filosofare".
(Ipazia muore
di Maria Moneti Codignola)
"Può darsi che io debba lasciarvi", dice ,"e che questa scuola venga chiusa, e tutti i suoi frequentatori dispersi" Sospira profondamente e tace per un poco, per dominare l'emozione. "Non ho paura di morire", continua, " se questa è la mia sorte. Tutta la mia vita è stata una meditazione di morte, una preparazione al distacco. E tuttavia, lasciarvi, lasciare le persone che amo, ora mi pesa". Fa una nuova pausa, mentre gli allievi tacciono e la guardano col volto serio, cercando anche loro di dominare l'emozione.
"Non ho paura di morire", riprende la filosofa, "anche se la vita, la grande seduttrice, mi ha fatto conoscere e apprezzare le sue bellezze, che allettano gli uomini e li persuadono a continuare a vivere, quali ne siano le condizioni e il prezzo. Ma se a questa seduzione talvolta è lecito abbandonarsi, talaltra invece si deve resistere. Non ogni vita è degna di essere vissuta. Ci sono momenti in cui morire è più dignitoso che continuare a vivere" Di nuovo Ipazia tace, abbassando lo sguardo, come assorta nei suoi pensieri.
"Sono pronta al congedo", riprende, "anche se il dolore della fine turba un poco il mio animo, come quello di tutti i mortali che a fatica si lasciano strappare la vita. Ma c'è qualcosa di più. Sono ansiosa per la sorte che toccherà a voi. Socrate lasciava i suoi allievi con animo più sereno del mio. Forse perchè era un filosofo migliore di me. Ma forse anche perchè viveva in tempi migliori. Se la città era stata sommamente ingiusta con lui, condannandolo a morte, tuttavia era ancora una città sana, governata da buone leggi, tutelata da buoni costumi. Per questo Socrate non volle fuggire, come sapete, malgrado gliene venisse offerta l'opportunità, e non volle sottrarsi alla condanna, per rispetto delle leggi di Atene.
"Ora, se io vi lascio, non ci sono più nè leggi, nè costumi, nè virtù che tutelino la vostra moralità, che vi educhino al bene e al bello. Si è aperta un'epoca di tenebra, in cui gli uomini si uccideranno, si spieranno, si denuncieranno, si tortureranno a vicenda, nel nome di Dio. Saranno istituiti processi per un dogma, per il dettaglio di una dottrina, per una virgola. Si condanneranno gli uomini come eretici, per i loro pensieri e le loro parole. Si bruceranno vivi, si sgozzeranno, si trucideranno quelli che non pensano secondo ciò che è stabilito. E ci sarà sempre qualcuno, un'autorità religiosa o politica, che stabilirà che cosa è lecito dire o pensare.
"Tutto questo può durare qualche anno, qualche decennio, ma anche qualche secolo, magari un millennio. Mille anni vuol dire un numero grandissimo di generazioni, milioni e milioni di individui che non conosceranno altro che quella tenebra, e neppure sospetteranno che altrove, in altri tempi, sul mondo riplendeva la luce.
"Ognuno di voi deve prepararsi ad attraversare questo deserto. Anche nelle epoche più tenebrose può esserci virtù, anche nei periodi più ostili alla filosofia è possibile coltivarla. Ognuno di voi dovrà custodire se stesso, e salvarsi con i suoi mezzi. Coltivare, dentro di sè, quelle virtù e quei principi che nè le leggi nè i costumi saranno più in grado di tutelare. Ognuno sarà responsabile di sè, educatore di se stesso.
"Ma questo non è tutto. Avete anche un altro compito. Vi prego, ciò che io ho fatto a voi, voi fatelo ad altri. Ognuno di voi doni ciò che possiede, la sua saggezza, la sua comprendione e la sua virtù, a quanti siano disposti a riceverla. Ciascuno di voi ha un dovere, quasi una missione, da compiere. Deve mettersi al servizio della filosofia e far sì che la sua debole fiamma non si spenga ma venga trasmessa, di generazione in generazione, fino a quando sarà in grado di risorgere, in tutta la sua gloria e il suo fulgore.
"Ecco ora che vi ho parlato non ho più timore, nè soffro troppo per il congedo. Ora posso andarmene serenamente. Ho fiducia in voi. Addio, dunque. Abbiate cura di voi e continuate a filosofare."