domenica 22 gennaio 2012

Liberalismo all'italiana


di Raffaella Alladio


Il tentativo di riduzione del costo della vita dei dipendenti, attraverso le liberalizzazioni, con la riduzione del costo dei beni di consumo e non attraverso una miglior gestione della spesa sociale è semplicemente anomalo. Se il costo del lavoro, cioè la monetarizzazione dei servizi statali che incide giustamente sulle retribuzioni, è alto i dipendenti percepiscono stipendi più bassi e le assunzioni divengono sempre più precarie.


Quindi se un ospedale incide, per ipotesi, per cinque euro sulla busta paga, invece dei due che sarebbero sufficienti sfruttando onestamente le risorse, all'operaio intestatario della busta paga non cambia molto pagare 1,2€ i pomodori al mercato invece che 1,5€; cambierebbe molto di più pagare due euro invece che cinque per le spese ospedaliere. Spendendo per i pomodori 1,2€ invece che 1,5€ ha un minimo vantaggio economico e un, molto spesso, importante svantaggio qualitativo.


E' un circolo vizioso, viziato e bastardo con cui ci stiamo impiccando.

La liberalizzazione dei mercati tanto sbandierata è una delle truffe più subdole degli ultimi tempi.

Questo liberismo da quattro soldi non ha niente a che vedere con il potenziamento dell'individualismo ideologico ed economico portato avanti da Locke nel 1600.


Non ha niente dei principi che hanno portato alle rivoluzioni francese e americana di fine settecento e su cui si sono basate le carte fondamentali dei diritti delle democrazie nascenti.

Non ha niente a che vedere con la forza dell'individuo all'interno di uno Stato giusto e imparziale capace di essere solamente arbitro formale e non sostanziale.


Lo Stato che ci sta propinando queste liberalizzazioni come la panacea di tutti i mali, è uno Stato parte in causa nel mercato che dovrebbe, col suo meccanismo invisibile della domanda e dell'offerta, ricondurre il maggior vantaggio individuale al maggior benessere sociale e collettivo.

Questo è un liberismo sostenibile perchè senza una concertazione tra il singolo e la collettività non ci può essere uno sviluppo sociale forte e duraturo.


Liberalizzare significa permettere ad ogni individuo di esprimere le proprie capacità e potenzialità ponendole sotto l'occhio disinteressato del mercato. Lo Stato, nella sua funzione legiferante, deve unicamente monitorare affinchè tale processo non presenti intoppi, non favorisca uno o una classe di individui e, soprattuttto, sia di reale vantaggio per la collettività.

Insomma non ci devono essere cartelli, monopoli o lobby di sorta ad avere in mano una parte del mercato.


Ma se, come nel caso attuale, è la stessa classe politica, legittimata o meno dal popolo, ad essere lobby all'interno del mercato, non si ha più esplicitazione, da parte dello Stato, del ruolo cui è preposto, ma la difesa e l'ampliamento da parte dello stesso del proprio ruolo di classe privilegiata. Nel momento in cui il potere legislativo accentri in sè poteri esorbitanti arrogandosi il diritto di guidare il mercato, lo Stato cessa di essere liberale. L'evidenza di interessi che vanno al di là del bene collettivo nell'esplicitazione politica del governo Berlusconi prima, e nell'attuale governo Monti, per circoscrivere agli ultimi anni quest'analisi, induce quindi i cittadini ad esercitare quel naturale diritto alla ribellione che è riconosciuto come parte fondamentale in una dottrina liberale che tale voglia definirsi non a momenti, a tratti, a episodi ma nella sua accezione più totale.


Esulando dalla ricerca di una coerenza ideologica nei protagonisti della scena politica italiana, ciò che si sta compiendo, sotto il paravento di un linguaggio ammaliatore per folle sempre più ignoranti, è un discredito profondo del lavoratore e della sua professionalità; un disconoscimento definitivo delle potenzialità individuali sotto il segno della globalizzazione; l'annullamento del libero arbitrio; la squalifica dell'iniziativa economica individuale; il vincolo imprescindibile a monopoli precisi e pilotati e quindi, in via definitiva, ad un accorpamento del potere economico con quello statale che ha il sapore di un totalitarismo e non certo di una democrazia liberale.