giovedì 1 dicembre 2011

Odio di classe, ma da parte di chi ?


di Giulio Pica

Il sistema penale dell'Italia liberale ed ancor più quello dell'Italia fascista
perseguiva severamente i movimenti, le associazioni ed i singoli che , con i loro comportamenti , fomentassero l'odio tra le classi.
Naturalmente , il legislatore si riferiva all'odio degli operai e delle classi meno abbienti nei confronti dei ricchi e dei potenti , escludendo aprioristicamente che i ricchi potessero odiare i poveri.

Anche l’ex presidente del consiglio Berlusconi ha sempre deprecato il clima di "odio" che verrebbe alimentato da chiunque si azzardi a criticare le sue scelte politiche ed i suoi comportamenti privati che tanto discredito hanno arrecato a questo nostro malandato Paese.

Nella puntata di Ballarò di ieri (29 novembre) anche Sallusti – direttore de “Il Giornale” e quindi fedele scudiero del cavaliere – ha addirittura accusato Rosy Bindi di voler scatenare una guerra sociale contro i ricchi soltanto perché lei aveva giustamente sottolineato l’opportunità di introdurre una patrimoniale sulle grandi ricchezze per redistribuire in modo equo l’onere del risanamento del bilancio pubblico.

Se però si riflette con lucidità , ci si rende conto che , come affermava il grande Edoardo Sanguineti , sono i ricchi ad odiare i poveri i quali , semmai , acquisendo consapevolezza della propria condizione , indirizzano la loro lotta , giustamente , contro chi li sfrutta.

Ricordo il disprezzo che un'anziana signora mia conoscente , appartenente alla media borghesia terriera, esprimeva nei confronti dei contadini , affermando : "Sono tutti dei cafoni : dovrebbero avere gli occhi sulle ginocchia in modo da schiacciarseli quando si inginocchiano". Senza arrivare alla disarmante sincerità della suddetta signora, c’è da dire che Il disprezzo per i ceti meno abbienti non si manifesta necessariamente dichiarandolo, ma si evidenzia ogni volta che un cittadino benestante evade il fisco o cerca, con tutti i mezzi, di sottrarre il proprio patrimonio al prelievo fiscale.

Ciò fa sì che Stato ed enti locali non siano più in grado di erogare servizi alle fasce più bisognose della popolazione, già sottoposte a sacrifici e privazioni.

Appartenere ad una comunità organizzata in Stato, comporta che ciascuno debba rispondere al fisco proporzionalmente alle propria capacità contributiva.

Si tratta di una elementare regola di convivenza civile che dovrebbe far parte di qualsiasi ordinamento statale che si richiami ai principi di solidarietà e coesione sociale e non – come affermano i corifei del PdL – di un’ingiustizia commessa da uno Stato di polizia tributaria (sic!).

Inoltre, qualsiasi economista intellettualmente onesto, sa che un’equa distribuzione del carico fiscale risponde ad un sacrosanto principio di giustizia sociale, ma costituisce anche un’intelligente misura di politica economica che non deprime l’iniziativa economica insistendo, come nel caso della patrimoniale, su rendite immobiliari improduttive.

L’attuale presidente del consiglio ha la lucidità e la lungimiranza per agire in questa direzione, a patto che riesca a vincere le resistenze dei deputati del Pdl, pervicacemente arroccati su posizioni ideologiche e classiste da Europa pre-moderna.