di Roberto Carroll
Anche quest’anno è ripartita la stagione delle Iene. Quelle televisive intendo. I servizi di apertura delle prime due puntate mettono in luce un tema che nel nostro Paese è alquanto rimosso ovvero lo stato di salute delle nostre forze dell’ordine.
Nella prima puntata si segnalava la presenza monopolistica di un’impresa di pompe funebri in Casoria, provincia di Napoli. Nella puntata successiva la presenza di una sala giochi con slot machine irregolari nel centro di Catania. In entrambi i casi la presenza delle forze dell’ordine è stata quantomeno peregrina.
Nel servizio sulla sala giochi di Catania veniva addirittura mostrata una sorta di inquietante “beffa”. Infatti dopo insistenze della Jena in servizio giunge l’intervento della polizia nel locale indicato. Qui entra, ferma, prende generalità agli avventori, oscura le macchinette incriminate e via dicendo. Solo che, stando al servizio, il giorno dopo l’attività era fervida come prima, come se la polizia non fosse intervenuta.
Ben più crudo il servizio sul giovane Giuseppe Uva, portato nella caserma dei carabinieri in via Saffi a Varese ed uscitone morto a causa delle percosse. Un fatto alla pari di Cucchi, di Aldovrandi, di Marcello Lonzi (questo morto nelle carceri livornesi), di Stefano Sandri, delle violenze nella caserma di Bolzaneto, della uno Bianca e di altri casi non dissimili.
Una democrazia corretta dovrebbe avere il dovere d’investigare sullo stato di salute dei propri tutori dell’ordine, come chiesto da Amnesty International dopo il proprio rapporto 2010, ma sembra che solo indicare quello che è un “abuso del diritto” da chi dovrebbe rispettare le regole democratiche scateni una consolidata retorica dagli addetti ai lavori; un linguaggio in cui il richiedente è definito, al minimo, attentatore alle istituzioni dello stato, terrorista e quanto altro la fervida mente di anime poco democratiche e molto totalitarie è in grado di concepire.
Ma se viene meno questo coraggio istituzionale che differenza può esserci, allora, tra un governo democratico ed una dittatura?
I servizi su Casoria e su Catania, ad esempio, mettono lo spettatore nella condizione di seguire un logico ragionamento: le forze dell’ordine non intervengono (od inscenano una pantomima) o per collusione o per paura verso manifestazioni a cielo aperto svolte dalla malavita organizzata, in quanto: tutti teniamo famiglia.
E’ certo meno pericoloso, a dispetto della propaganda, presentarsi in assetto antisommossa contro i Valsusini, contro chi manifesta per le condizioni della scuola pubblica o contro un mercato del lavoro che somiglia sempre più al mercato degli schiavi. Quelli anche se al momento sembrano lupi, non hanno né la forza, né la volontà, né la capacità di colpire come può farlo un aderente a Cosa Nostra.
Valutando le forze per ciò che sono e cioè uomini, ne conseguono alcuni limiti che sono quelli propri della nostra natura. Il primo limite è quello dell’autoconservazione; il secondo è quello della prevenzione ed il terzo quello dell’investigazione.
Del primo ho già accennato ed è dato dalla soggettività che si confronta all’ambiente in cui vive. Un carabiniere che vive in un luogo diverso da Casoria, ad esempio, trova certo più coraggio rispetto uno che ci vive, quando deve fronteggiare il crimine.
L’opera preventiva ha anch’essa una portata molto limitata in quanto presuppone conoscere ex ante l’intenzione criminale ed essendo questa una facoltà nascosta del singolo è di difficile individuazione; solitamente le indagini partono a delitto in essere o a delitto concluso, visto che la realtà non è fatta di serial killer cinematografici che annunciano le proprie intenzioni delittuose.
Infine l’investigazione che di fronte al delitto casuale o anomalo, vedi il caso di Yara Gambirasio, non sa quali pesci pigliare.
Ora per evitare fraintendimenti non sto chiedendo la sparizione delle forze dell’ordine, (si sarebbe giunti nell’isola di Utopia ovvero nella fratellanza assoluta) bensì una argomentazione seria sulle stesse poiché difendere, come accade nei media e nelle Istituzioni, ciecamente la “divisa” non è segno di civiltà ma anzi il contrario.
Soprattutto quando nell’uso della retorica si ricorre alla frase fatta del “muoiono per quattro soldi…”.
Consultando il sito www.cadutipolizia.it si apprende che nel 2010 sono morti 9 agenti di cui 6 per incidente stradale in proprio, 1 per lesioni a seguito di una libero cadutogli addosso, 1 per un malore nel proprio ufficio ed 1 per una coltellata mentre difendeva la propria fidanzata da uno spostato entratogli nel bar.
Ora, la morte non si augura a nessuno e tutti hanno diritto, divisa o non divisa, di vivere e vivere bene ma, come le valutiamo le morti bianche di operai nei cantieri che non solo percepiscono meno denaro ma hanno certo meno tutela?
Ed infine, tornando ai casi Uva, Cucchi e tutti gli altri: chi controlla i controllori?
Anche quest’anno è ripartita la stagione delle Iene. Quelle televisive intendo. I servizi di apertura delle prime due puntate mettono in luce un tema che nel nostro Paese è alquanto rimosso ovvero lo stato di salute delle nostre forze dell’ordine.
Nella prima puntata si segnalava la presenza monopolistica di un’impresa di pompe funebri in Casoria, provincia di Napoli. Nella puntata successiva la presenza di una sala giochi con slot machine irregolari nel centro di Catania. In entrambi i casi la presenza delle forze dell’ordine è stata quantomeno peregrina.
Nel servizio sulla sala giochi di Catania veniva addirittura mostrata una sorta di inquietante “beffa”. Infatti dopo insistenze della Jena in servizio giunge l’intervento della polizia nel locale indicato. Qui entra, ferma, prende generalità agli avventori, oscura le macchinette incriminate e via dicendo. Solo che, stando al servizio, il giorno dopo l’attività era fervida come prima, come se la polizia non fosse intervenuta.
Ben più crudo il servizio sul giovane Giuseppe Uva, portato nella caserma dei carabinieri in via Saffi a Varese ed uscitone morto a causa delle percosse. Un fatto alla pari di Cucchi, di Aldovrandi, di Marcello Lonzi (questo morto nelle carceri livornesi), di Stefano Sandri, delle violenze nella caserma di Bolzaneto, della uno Bianca e di altri casi non dissimili.
Una democrazia corretta dovrebbe avere il dovere d’investigare sullo stato di salute dei propri tutori dell’ordine, come chiesto da Amnesty International dopo il proprio rapporto 2010, ma sembra che solo indicare quello che è un “abuso del diritto” da chi dovrebbe rispettare le regole democratiche scateni una consolidata retorica dagli addetti ai lavori; un linguaggio in cui il richiedente è definito, al minimo, attentatore alle istituzioni dello stato, terrorista e quanto altro la fervida mente di anime poco democratiche e molto totalitarie è in grado di concepire.
Ma se viene meno questo coraggio istituzionale che differenza può esserci, allora, tra un governo democratico ed una dittatura?
I servizi su Casoria e su Catania, ad esempio, mettono lo spettatore nella condizione di seguire un logico ragionamento: le forze dell’ordine non intervengono (od inscenano una pantomima) o per collusione o per paura verso manifestazioni a cielo aperto svolte dalla malavita organizzata, in quanto: tutti teniamo famiglia.
E’ certo meno pericoloso, a dispetto della propaganda, presentarsi in assetto antisommossa contro i Valsusini, contro chi manifesta per le condizioni della scuola pubblica o contro un mercato del lavoro che somiglia sempre più al mercato degli schiavi. Quelli anche se al momento sembrano lupi, non hanno né la forza, né la volontà, né la capacità di colpire come può farlo un aderente a Cosa Nostra.
Valutando le forze per ciò che sono e cioè uomini, ne conseguono alcuni limiti che sono quelli propri della nostra natura. Il primo limite è quello dell’autoconservazione; il secondo è quello della prevenzione ed il terzo quello dell’investigazione.
Del primo ho già accennato ed è dato dalla soggettività che si confronta all’ambiente in cui vive. Un carabiniere che vive in un luogo diverso da Casoria, ad esempio, trova certo più coraggio rispetto uno che ci vive, quando deve fronteggiare il crimine.
L’opera preventiva ha anch’essa una portata molto limitata in quanto presuppone conoscere ex ante l’intenzione criminale ed essendo questa una facoltà nascosta del singolo è di difficile individuazione; solitamente le indagini partono a delitto in essere o a delitto concluso, visto che la realtà non è fatta di serial killer cinematografici che annunciano le proprie intenzioni delittuose.
Infine l’investigazione che di fronte al delitto casuale o anomalo, vedi il caso di Yara Gambirasio, non sa quali pesci pigliare.
Ora per evitare fraintendimenti non sto chiedendo la sparizione delle forze dell’ordine, (si sarebbe giunti nell’isola di Utopia ovvero nella fratellanza assoluta) bensì una argomentazione seria sulle stesse poiché difendere, come accade nei media e nelle Istituzioni, ciecamente la “divisa” non è segno di civiltà ma anzi il contrario.
Soprattutto quando nell’uso della retorica si ricorre alla frase fatta del “muoiono per quattro soldi…”.
Consultando il sito www.cadutipolizia.it si apprende che nel 2010 sono morti 9 agenti di cui 6 per incidente stradale in proprio, 1 per lesioni a seguito di una libero cadutogli addosso, 1 per un malore nel proprio ufficio ed 1 per una coltellata mentre difendeva la propria fidanzata da uno spostato entratogli nel bar.
Ora, la morte non si augura a nessuno e tutti hanno diritto, divisa o non divisa, di vivere e vivere bene ma, come le valutiamo le morti bianche di operai nei cantieri che non solo percepiscono meno denaro ma hanno certo meno tutela?
Ed infine, tornando ai casi Uva, Cucchi e tutti gli altri: chi controlla i controllori?