di Simone Ferrali
C'è la corruzione che, bene o male, tutti conosciamo...la corruzione che dopo tangentopoli è all'ordine del giorno. E poi c'è un'altra corruzione, quella pura e casta, quella “vaticana (chiamiamola così)”: chi prova a combatterla viene rimosso dal proprio incarico. Ed è proprio quello che è successo all'arcivescovo Carlo Maria Viganò, che è stato rimosso dall'incarico di Segretario del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano perché la sua opera di tagli e lotta alla corruzione dava noia.
Il povero Viganò, prima è stato vittima di una campagna denigratoria, poi è stato spedito a Washington come Nunzio apostolico della Chiesa Cattolica, simulando una promozione per meriti, che appare quasi come una sorta di “confino mascherato”.
Ma andiamo per ordine: Carlo Maria Viganò viene incaricato nell'estate del 2009, su fiducia del Santo Padre, di controllare tutti gli appalti e tutte le forniture del Vaticano. C'è un problema però...l'opera di tagli condotta da Viganò dà fastidio a tutti coloro che guadagnano su malaffari, prezzi gonfiati e corruzione in appalti e forniture.
Nel frattempo all'arcivescovo giungono voci sulla sua “promozione”, che anche a lui tanto promozione non sembra; il 27 marzo 2011allora, Viganò scrive una lettera al Santo Padre, nella quale dice (testualmente): “Beatissimo Padre, un mio trasferimento in questo momento provocherebbe smarrimento e scoramento in quanti hanno creduto fosse possibile risanare tante situazioni di corruzione e prevaricazione da tempo radicate nella gestione delle Direzione” (fonte: Gianluigi Nuzzi, Libero, 25 gennaio 2012. Da qui in avanti se non specificato diversamente la fonte rimane questa). Poi aggiunge: “Quando accettai l'incarico di Governatore il 16 luglio 2009, ero ben conscio dei rischi a cui andavo incontro, ma non avrei mai pensato di trovarmi di fronte ad una situazione così disastrosa. Ne feci parola in più occasioni al Cardinale Segretario di Stato (Tarcisio Bertone, ndr), facendogli presente che non ce l'avrei fatta con le sole mie forze: avevo bisogno del suo costante appoggio”. Un appoggio che all'arcivescovo è mancato.
Poi, sempre Viganò, prosegue: “La situazione finanziaria del Governatorato, già gravemente debilitata per la crisi mondiale, aveva subito perdite di oltre il 50/60 %, anche per imperizia di chi l'aveva amministrata. Per porvi rimedio, il cardinale presidente aveva affidato di fatto la gestione dei due fondi dello Stato ad un Comitato finanza e gestione, composto da alcuni grandi banchieri, i quali sono risultati fare più il loro interesse che i nostri. Ad esempio, nel dicembre 2009, in una sola operazione ci fecero perdere 2 milioni e mezzo di dollari. Segnalai la cosa al Segretario di Stato alla Prefettura degli Affari Economici, la quale, del resto, considera illegale l'esistenza di detto Comitato. Con la mia costante partecipazione alle sue riunioni ho cercato di arginare l'operato di detti banchieri, dai quali necessariamente ho dovuto spesso dissentire”.
I banchieri del Comitato amministrano quasi 300 milioni di investimenti ogni anno (anche se ultimamente il portafoglio degli investimenti si è ridotto, causa crisi economica), senza avere un riconoscimento legale.
I banchieri in questione sono:
Pellegrino Capaldo: ex presidente della Banca di Roma. Era nella Commissione segreta vaticana che concordò il “contributo volontario” per sollevare lo IOR da qualsiasi responsabilità, nel crac dell'Ambrosiano. Il contribuo volontario fu portato a Ginevra (tramite assegno) da Paul Casimir Marcinkus e da monsignor Donato de Bonis (che dieci anni dopo ha reciclato la tangente Enimont ricevuta da Bisignani, piduista condannato a 3 anni e 4 mesi per lo scandalo Enimont e di recente inquisito nell'inchiesta sulla P4)
Ettore Gotti Tedeschi: Per la sua propensione agli affari potrebbe essere chiamato Ettore “LinGotti” Tedeschi..adesso è presidente dello IOR ed è un economista e banchiere italiano. Tedeschi sostiene che il capitalismo “sia nato ad esaltazione della dignità dell'uomo, dalle teorie dei teologi francescani nell'Italia del XIII secolo e che il protestantesimo sia responsabile dei successivi difetti del capitalismo”. Nonostante i valori cristiani, nel 2007 firmò un manifesto composto da 13 punti, ed uno di questi prevedeva la detassazione del lavoro straordinario: con la detassazione del lavoro straordinario, il datore di lavoro è portato a chiedere, più spesso, straordinari al dipendente.
Massimo Ponzellini: ex numero uno della Banca Popolare di Milano, indagato dalla procura di Milano per “associazione affaristica criminale”; la procura infatti, sostiene che “per l'approvazione del finanziamento ad Atlantis e anche di altri finanziamenti, Ponzellini si sarebbe speso personalmente in maniera del tutto anomalo”. Sempre secondo i magistrati l'ex numero uno dell'istituto milanese “potrebbe aver fruito di guadagni illeciti”.
Carlo Fratta Pasini: presidente del Banco Popolare.
Sempre nella lettera del 27 marzo 2011, Viganò afferma: “La direzione dei Servizi Tecnici era quella più compromessa da evidenti situazioni di corruzione: i lavori affidati sempre alle stesse ditte, a costi almeno doppi di quelli praticati fuori del Vaticano”. Grazie al lavoro dell'arcivescovo però “I costi dei lavori sono stati quasi dimezzati” e un esempio su tutti è spiegato dallo stesso Viganò: “Il presepe in Piazza San Pietro del 2009 era costato 550.000 Euro, quello del 2010 300 mila Euro”. Alla faccia della crisi!
Nonostante questo l'opera di Viganò continua ad essere boicottata, e parte una campagna denigratoria nei suoi confronti, da parte del “Giornale” di Sallusti; infatti Viganò sostiene che sia partita “Una campagna stampa contro di me e azioni per screditarmi presso i superiori, per impedire la mia successione al cardinale presidente Lajolo, tanto che ormai è stata data per scontata la mia fine”.
Ma se nella lettera del 27 marzo, i motivi della sua “cacciata (o promozione, dal punto di vista del Vaticano)” sembrano già ovvi, diventano ancora più ovvi nella seconda lettera, quella dell'8 maggio 2011 (la potete trovare su www.ilfattoquotidiano.it/2012/
In questa lettera, Viganò fa nomi e cognomi delle persone che lucrano su appalti e forniture e di coloro che hanno fatto di tutto per denigrarlo.
In particolar modo Viganò accusa Monsignor Paolo Nicolini, delegato per i Settori amministrativo-gestionali dei Musei Vaticani, di aver defraudato il Vaticano e di aver contraffatto fatture.
Nella lettera, Viganò porta anche prove e testimonianze a difesa della propria tesi.
Fra le tante accuse che l'arcivescovo rivolge a Monsignor Nicolini, ce n'è una in particolare che colpisce: Nicolini ha una partecipazione di interessi nella Società SRI Group, del Dott. Giulio Gallazzi, società che nel periodo in questione era inadempiente verso il Governatorato per almeno due milioni e duecentomila Euro e che in precedenza aveva già defraudato L'osservatore Romano, per oltre novantasettemila Euro e l'A.P.S.A. per altri ottantacinquemila. Nicolini inoltre risulta titolare di una carta di credito a carico della Società SRI Group, per una massimale di duemila e cinquecento Euro al mese.
L'arcivescovo poi accusa il Dottor Simeon (persona molto vicina allo stesso Cardinal Bertone) e il Dott. Saverio Petrillo per aver contribuito alla campagna denigratoria nei suoi confronti ed infine minaccia di intraprendere azioni legali se nessuno farà niente per punire atti e persone in questione.
Le “minacce” di Viganò sono quindi un pericolo per il Vaticano che decide di non revocare la sua “promozione”, facendolo uscire così dall'occhio del ciclone. Chissà se l'aria degli States calmerà l'arcivescovo onesto...la mia impressione è che questa storia sia tutt'altro che conclusa.
La corruzione è “pura e casta”, ma esiste anche all'interno del Vaticano. Adesso però, ci dobbiamo chieder perché il Papa non ha mosso un dito in difesa di Carlo Maria Viganò, l'arcivescovo ingenuo, ma onesto e contrario alla corruzione: proprio il Santo Padre nel giorno dell'Immacolata del 2006 aveva detto “Maria ci dia il coraggio di dire no alla corruzione, ai guadagni disonesti e all'egoismo”...molto probabilmente il Santo Padre è preso da quelli che Pavese chiamava gli “astratti furori”, vorrebbe agire, ma proprio non ci riesce.
Evviva il coraggio, evviva la coerenza, alé!
PER VEDERE LA PUNTATA DEL FATTO DELLA SETTIMANA CHE TRATTA QUESTO TEMA: