“Forzature spregiudicate”, utilizzo di testimoni non “disinteressati”, possibile “indottrinamento” dei pentiti. Con queste parole la Procura di Caltanissetta bolla senza appello la pista investigativa sulla strage di via D’Amelio che ha portato sette persone innocenti all’ergastolo. Ma nella maxi inchiesta nissena sulla morte del giudice Paolo Borsellino, riaperta grazie alle rivelazioni del collaboratore Gaspare Spatuzza, compaiono anche particolari inquietanti fino ad oggi inediti. Si tratta di una nota dei servizi che “anticipa” la falsa pista investigativa e dell’espulsione del perito informatico Gioacchino Genchi dal gruppo di poliziotti guidati dal questore Arnaldo La Barbera, incaricato delle indagini sulle stragi di mafia. Genchi, secondo i Pm Ilda Boccassini e Fausto Cardella, sarebbe stato cacciato dal gruppo di La Barbera per aver indagato sulle carte di credito di Giovanni Falcone. E non come afferma Genchi per aver contestato le scelte investigative su via D’Amelio.
“Qualche volta abbiamo avuto la sensazione che la scena del crimine fosse stata ripulita prima del nostro arrivo” ha detto il capo della Procura Sergio Lari.
Ma se quello costruito da uno dei nuclei d’elite della lotta antimafia, il gruppo Falcone-Borsellino diretto da La Barbera deceduto nel 2002, sia stato un colossale depistaggio o una clamoroso errore investigativo forse non lo si appurerà mai. Per oltre due anni i magistrati di Caltanissetta hanno provato a risolvere una delle pagine più oscure della lotta antimafia. Hanno iscritto nel registro degli indagati i poliziotti per aver costretto con pressioni fisiche e psicologiche tre balordi di periferia ad autoaccusarsi della strage. Gli stessi che oggi li accusano. Ma per i dirigenti della polizia Vincenzo Ricciardi, Salvatore La Barbera e Mario Bo, indagati per aver depistato le indagini con l’accusa di calunnia aggravata, la Procura siciliana non ha trovato elementi precisi che dimostrano una condotta dolosa. Come gli 007 indagati per la strage usciranno quindi di scena anche quei poliziotti sospettati di aver inquinato le indagini. Eppure gli indizi di un depistaggio non mancano e continueranno ad alimentare all’infinito i sospetti che le indagini sulla strage di via D’Amelio siano state pilotata verso una soluzione di comodo.
Il primo indizio è una nota dei servizi del 13 agosto 1992: ““In sede di contatti informali con inquirenti … emergerebbero valide indicazioni per l’identificazione degli autori del furto dell’auto … nonché del luogo in cui la stessa sarebbe stata custodita prima di essere utilizzata per l’attentato”. “Non è dato agevolmente comprendere – sottolineano i magistrati - come a quella data gli investigatori avessero acquisito notizie “sul luogo” dove l’autovettura rubata era stata custodita”.
Il giallo non ha trovato soluzione: né l’autore della nota, il generale Andrea Ruggeri, né il prefetto De Sena hanno chiarito la circostanza. “Il totale oblio della vicenda da parte dei diversi protagonisti della stessa dà ovviamente la stura ad una serie di inquietanti ipotesi” – chiosano i magistrati nisseni.
Che ricordano come il dominus delle indagini su via D’Amelio, La Barbera, sia stato per alcuni anni, dall’87 all’’89 fonte dei servizi chiamato proprio dal prefetto De Sena con il nome in codice Rutilius, ma che in quel periodo non avrebbe fornito al servizio alcuna informazione.
Quello che appare certo per i magistrati nisseni è che “l’acume, l’esperienza investigativa e la professionalità di La Barbera sono in antitesi con la sua scelta di contare solo sulla pista Scarantino”. Una verità di comodo - ha sempre detto Gioacchino Genchi che per anni fu stretto collaboratore di La Barbera - alla quale il superperito si è ribellato rassegnando nella primavera del ‘93 le dimissioni dal gruppo degli investigatori. Ma dai recenti interrogatori svolti dalla Procura nissena spunta un’altra verità. Secondo il Pm Bocassini che indagò sulle stragi di mafia, “quando Genchi propose di compiere verifiche sulle carte di credito di Falcone, mi dissociai, mi sembrava una curiosità investigativa morbosa”. Particolare confermato dal collega Cardella. Fu per questo che La Barberà lo espulse dal suo nucleo? Entrambi i magistrati però – segnalano gli inquirenti – in una nota del 25 maggio’93 sostenevano che le dimissioni del poliziotto esperto di telefoni erano state improvvise: “Sorprende che il dott. GENCHI abbia improvvisamente deciso di non collaborare più alle indagini, secondo quanto riferisce il dott. Arnaldo LA BARBERA, adducendo giustificazioni generiche e non del tutto convincenti”. Un altro giallo quindi che forse non sarà mai risolto.
La convinzione degli inquirenti è che intorno a queste dimissioni e alle indagini che puntavano a scoprire possibili relazioni tra mafiosi e strutture occulte dei servizi segreti si sia giocata una partita decisiva ancora tutta da scoprire. Così come la genesi della pista Scarantino, oggi andata definitivamente in pezzi, rimane opaca e viziata da plurime anomalie sulle quali nessuno dei protagonisti di allora - come denuncia la Procura nissena - ha voluto fare chiarezza.
ALLEGATO:
-Verbale
-Nota Sisde
-Nota Dimissioni Genchi
“Qualche volta abbiamo avuto la sensazione che la scena del crimine fosse stata ripulita prima del nostro arrivo” ha detto il capo della Procura Sergio Lari.
Ma se quello costruito da uno dei nuclei d’elite della lotta antimafia, il gruppo Falcone-Borsellino diretto da La Barbera deceduto nel 2002, sia stato un colossale depistaggio o una clamoroso errore investigativo forse non lo si appurerà mai. Per oltre due anni i magistrati di Caltanissetta hanno provato a risolvere una delle pagine più oscure della lotta antimafia. Hanno iscritto nel registro degli indagati i poliziotti per aver costretto con pressioni fisiche e psicologiche tre balordi di periferia ad autoaccusarsi della strage. Gli stessi che oggi li accusano. Ma per i dirigenti della polizia Vincenzo Ricciardi, Salvatore La Barbera e Mario Bo, indagati per aver depistato le indagini con l’accusa di calunnia aggravata, la Procura siciliana non ha trovato elementi precisi che dimostrano una condotta dolosa. Come gli 007 indagati per la strage usciranno quindi di scena anche quei poliziotti sospettati di aver inquinato le indagini. Eppure gli indizi di un depistaggio non mancano e continueranno ad alimentare all’infinito i sospetti che le indagini sulla strage di via D’Amelio siano state pilotata verso una soluzione di comodo.
Il primo indizio è una nota dei servizi del 13 agosto 1992: ““In sede di contatti informali con inquirenti … emergerebbero valide indicazioni per l’identificazione degli autori del furto dell’auto … nonché del luogo in cui la stessa sarebbe stata custodita prima di essere utilizzata per l’attentato”. “Non è dato agevolmente comprendere – sottolineano i magistrati - come a quella data gli investigatori avessero acquisito notizie “sul luogo” dove l’autovettura rubata era stata custodita”.
Il giallo non ha trovato soluzione: né l’autore della nota, il generale Andrea Ruggeri, né il prefetto De Sena hanno chiarito la circostanza. “Il totale oblio della vicenda da parte dei diversi protagonisti della stessa dà ovviamente la stura ad una serie di inquietanti ipotesi” – chiosano i magistrati nisseni.
Che ricordano come il dominus delle indagini su via D’Amelio, La Barbera, sia stato per alcuni anni, dall’87 all’’89 fonte dei servizi chiamato proprio dal prefetto De Sena con il nome in codice Rutilius, ma che in quel periodo non avrebbe fornito al servizio alcuna informazione.
Quello che appare certo per i magistrati nisseni è che “l’acume, l’esperienza investigativa e la professionalità di La Barbera sono in antitesi con la sua scelta di contare solo sulla pista Scarantino”. Una verità di comodo - ha sempre detto Gioacchino Genchi che per anni fu stretto collaboratore di La Barbera - alla quale il superperito si è ribellato rassegnando nella primavera del ‘93 le dimissioni dal gruppo degli investigatori. Ma dai recenti interrogatori svolti dalla Procura nissena spunta un’altra verità. Secondo il Pm Bocassini che indagò sulle stragi di mafia, “quando Genchi propose di compiere verifiche sulle carte di credito di Falcone, mi dissociai, mi sembrava una curiosità investigativa morbosa”. Particolare confermato dal collega Cardella. Fu per questo che La Barberà lo espulse dal suo nucleo? Entrambi i magistrati però – segnalano gli inquirenti – in una nota del 25 maggio’93 sostenevano che le dimissioni del poliziotto esperto di telefoni erano state improvvise: “Sorprende che il dott. GENCHI abbia improvvisamente deciso di non collaborare più alle indagini, secondo quanto riferisce il dott. Arnaldo LA BARBERA, adducendo giustificazioni generiche e non del tutto convincenti”. Un altro giallo quindi che forse non sarà mai risolto.
La convinzione degli inquirenti è che intorno a queste dimissioni e alle indagini che puntavano a scoprire possibili relazioni tra mafiosi e strutture occulte dei servizi segreti si sia giocata una partita decisiva ancora tutta da scoprire. Così come la genesi della pista Scarantino, oggi andata definitivamente in pezzi, rimane opaca e viziata da plurime anomalie sulle quali nessuno dei protagonisti di allora - come denuncia la Procura nissena - ha voluto fare chiarezza.
ALLEGATO:
-Verbale
-Nota Sisde
-Nota Dimissioni Genchi