martedì 10 gennaio 2012

Monti e la lotta all’evasione fiscale


di Giulio Pica

In questi giorni sta destando molto scalpore la notizia del blitz della guardia di finanza nei luoghi ove si presume che i ricchi vadano a spendere i propri guadagni sottratti alla dichiarazione dei redditi.

Per chi ha sempre pagato le tasse, se non altro perché ritenute alla fonte in quanto lavoratore dipendente, questa non può che essere una bella notizia, una boccata d’ossigeno in un Paese sclerotizzato e fermo sulle proprie incrostazioni feudali da troppi anni.

A novembre, quando l’impresentabile governo Berlusconi è finalmente caduto, si sono levate alte le grida di chi temeva l’insediamento di un esecutivo formato da tecnici, mandatari della grande finanza, custodi dell’ortodossia liberista, addirittura usurpatori della volontà popolare.

A pochi mesi di distanza, questi tecnici, invisi tanto alla propaganda populista della Lega Nord quanto al rancore parolaio di una certa sinistra dura e pura, stanno realizzando ciò che nessun partito è stato in grado neanche di proporre negli ultimi decenni: porre fine al dominio delle corporazioni professionali – notai, farmacisti, avvocati, tassisti – ed incidere seriamente sull’evasione fiscale, che è il vero cancro del nostro Paese.

Come si vede, non bisogna essere comunisti per capire che il problema dell’Italia risiede proprio lì, ovvero negli egoismi e nei privilegi radicati da molti anni nel mondo del lavoro autonomo e tra le professioni cosiddette liberali.

Possessori di yacht, di auto di lusso e , addirittura di aerei privati, che dichiarano un reddito inferiore a quello di un impiegato, professionisti che trasmettono la propria attività a figli e nipoti per via ereditaria, arroccati nei propri ordini professionali, sempre pronti a tutelare i propri interessi corporativi in spregio di qualsiasi principio di equità.

Ebbene, proprio contro questo grumo consolidato di interessi e privilegi, il governo Monti sta indirizzando i propri sforzi, con buona pace di chi li dipinge, da una parte, come banchieri famelici e, dall’altra, come furiosi bolscevichi che diffonderebbero l’odio contro la ricchezza.

Non a caso, la levata di scudi contro il direttore dell’agenzia e delle entrate e la richiesta delle sue dimissioni, provengono proprio da quegli esponenti del PdL che hanno fatto della difesa dei ricchi la propria bandiera (si notino le veementi proteste di Cicchitto e della Santanchè).

La riduzione delle disuguaglianze tra le classi può essere ottenuta, in un sistema democratico ed in un’economia di mercato, proprio attraverso la leva fiscale, imponendo una redistribuzione del reddito a favore dei ceti meno abbienti, anche a costo di dichiarare guerra a quelle corporazioni che non rinuncerebbero mai, di spontanea volontà, ai propri privilegi.

In tal modo le risorse recuperate possono contribuire a ridurre il disavanzo del bilancio dello Stato ed essere utilizzate per istituire il reddito di cittadinanza e per realizzare altri interventi in campo sociale.

Il successo del governo Monti, in questo campo, dipenderà dalla propria capacità di resistere alla pressione delle lobbies che, a quanto pare, molto potere esercitano nei confronti di parlamentari poco avvezzi a tutelare l’interesse generale.

Combattere l’evasione fiscale non vuol dire diffondere l’odio contro i ricchi, come affermano istericamente gli esponenti del PdL, bensì fare in modo che questi ricchi paghino, finalmente, in proporzione ai propri averi, cosa che, probabilmente, non hanno mai fatto.