giovedì 10 novembre 2011

Monti & C.:se non sono di Goldman Sachs, non li vogliamo


di Leonardo Iacobucci
asinichevolano.altervista.org


Il quadro politico italiano è abbastanza chiaro per guardare al di là di Berlusconi. Secondo le indagini demoscopiche gli italiani si sono lasciati coinvolgere in un generalizzato (e giustificato) rancore per la politica. Quali sono gli sviluppi all’orizzonte? Esiste uno scenario plausibile, ossia la nascita di un governo “tecnico”. Le forze politiche non sono però concordi nell’immaginarne la durata. C’è chi vorrebbe un governo in grado di fare la riforma elettorale e andare al voto, c’è chi pensa ad un governo che arrivi sino al 2013.Le ragioni sono semplici: nessun partito se la sente di affrontare la crisi economica con la sua faccia, meglio che i sacrifici vengano chiesti da dei tecnici. Il candidato principale, le cui quotazioni sono in ascesa è Mario Monti.


Pochi italiani sanno bene chi è questo signore. L’ipotesi di averlo come Presidente del Consiglio piace a d’Alema e al resto della eterogenea compagine che dovrebbe (infine) mandare a casa Berlusconi e le sue follie senili (da ultimo il partito della gnocca). Cosa cambierebbe per noi umili cittadini? Niente.

Anestetizzato dalla scomparsa (per ora?) dalla scena politica di Silvio Berlusconi, chi esulta per la nomina a senatore a vita di Monti forse dovrebbe rileggersi la biografia, la carriera, la vita e le opere dello stesso. «Alto profilo»? Ma alto profilo de che, verrebbe da chiedersi?

Ci vuole un illuminante Piergiorgio Odifreddi nel suo spazio su Repubblica.it per ironizzare prima sull’istituzione del “Senatore a vita” (come tante istituzioni, svuotata dal suo significato) e poi dalla nomina di ieri:”il presidente della Repubblica ha nominato l’economista Mario Monti. L’altissimo merito di quest’ultimo è di essere stato commissario europeo con deleghe economiche, dal 1994 al 1999 per nomina del primo governo Berlusconi, e dal 1999 al 2004 per nomina del primo governo D’Alema. Oltre che di essere stato presidente della famigerata Commissione Trilaterale, una specie di massoneria ultraliberista statunitense, europea e nipponica ispirata da David Rockefeller e Henry Kissinger. Ci voleva un ex sedicente comunista dell’area migliorista, per formalizzare attraverso la persona di Monti il ruolo extraparlamentare dell’economia liberista che sta condizionando l’Europa intera attraverso le politiche della Banca Centrale (oggi presieduta da Mario Draghi, ex collega di Monti come consulente della Goldman Sachs), del Fondo Monetario Internazionale e delle borse.”

Come dirlo meglio (a parte il fatto che Odifreddi scrive “essere stato”, ma Monti è ancora nella Commissione Trilaterale)? Si può aggiungere qualche altro dettaglio. Per esempio, il fatto che Mario Monti faccia parte del comitato esecutivo Aspen Insititute, un’inquietante struttura internazionale finanziata, al momento della nascita, dalla Rockefeller Brothers Fund e dalla Fondazione Ford (che fra l’altro finanziarono il golpe in Cile di Pinochet, sostenuto dalla scuola neoliberista degli economisti di Chicago. Dettagli e coincidenze sicuramente). In Italia, Aspen fa propria la riservatezza e le riunioni a porte chiuse. E’ stata fondata da Gianni Letta (che, se Monti diventasse Presidente del Consiglio, rimarrebbe sicuramente sottosegretario) e oggi è presieduta da Giulio Tremonti e ha, fra i vicepresidenti, Enrico Letta. Sì, certo. Vi diranno che si tratta solamente di un’associazione per discutere i temi più importanti del nostro paese e dettarne la linea (fu in Aspen e in altre associazioni simili che tornò in auge l’idea del nucleare, attraverso Chicco Testa e compagnia, per dire. Li ha stroncati solo il referendum). Be’, se vi diranno questo, rispondete loro che c’è già il Parlamento, per dettare la linea politica ed economica di un Paese. Il parlamento è democraticamente eletto, piaccia o meno. Mario Monti no. Ad Aspen piace tanto questa storia dei “grandi pensatori” al Governo. Piace ai Letta. Piace a tutti coloro che raccontano la favola delle “grandi intese”. Le “grandi intese” sono pericolosissime, perché portano verso il baratro del “pensiero unico”.

Prodi, Dini, Padoa Schioppa, Mario Monti, Mario Draghi: se non sono di Goldman Sachs, non li vogliamo.
Bisogna arrendersi all’evidenza: dirigere e pianificare la speculazione finanziaria globale non è un ostacolo per condurre l’economia di una nazione; bene pubblico ed interesse delle elites sono una unica e identica cosa.
Cosa sta accadendo in Italia dunque? Se mi permettete il parallelo oggi siamo nelle stesse condizioni dell’Argentina al tempo (1999) della fine del secondo mandato del presidente Menem. Ho sempre pensato che Menem abbia avuto delle grosse similitudini con Berlusconi (o viceversa) non solo fisiche. Anche Menem aveva un ministro dell’economia incompetente come Tremonti, si chiamava Domingo Cavallo. Tuttavia le similitudini finiscono qui, perché dopo la distruzione del Paese per colpa della coppia Menem-Cavallo, non arrivò un governo tecnico ma l’Argentina prese coscienza che la ricetta neoliberista era omicida verso il Paese. Se da noi – come sembra quasi certo – arriverà Mario Monti la ricetta neoliberista sarà adottata esattamente come vuole la BCE. Perché, mettiamocelo in testa, noi non siamo governati da chi eleggiamo. Chi ci governa realmente è un organismo sovranazionale, la BCE appunto, che non è mai stato eletto da nessuno.
Il tramonto del regime di Berlusconi e la sparizione dei suoi accoliti più fedeli non arriverà mai abbastanza presto. Probabilmente la scomparsa politica del Cavaliere della Gnocca sarà da festeggiare stappando bottiglie di champagne e spumante. Ma dopo non illudiamoci: continuerà la macelleria sociale questa volta guidata da un tecnocrate allineato con le centrali di comando neoliberiste. Mario Monti è un salvagente ma di piombo.
Per cercare soluzioni che non siano vantaggiose solo per il 20% della popolazione, è necessario oltrepassare il terreno della politica. Per dare un taglio ad un modello incapace di moltiplicare la ricchezza, che si vanta senza pudore di saper moltiplicare solo i milionari, è sempre più necessario varcare la soglia della lotta sociale, civica, trasversale, dal basso. E guardare coloro che hanno osato affrontare la “dittatura del mercato” o che seppero gridare “que se vayan todos!”, o che organizzarono referendum sul debito e sulle modalità con cui pagarlo, o meno. E’ così che l’Islanda ha strappato qualche risultato utile e vitale per le genti laboriose.