lunedì 16 gennaio 2012

Diritti e rovesci


di Raffaella Alladio


Nel titolo IV della Costituzione che regolamenta rapporti politici, troviamo l'articolo 53 che recita: "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva . Il sistema tributario è informato a criteri di progressività".


La capacità contributiva del cittadino è quindi posta al centro della costituzione di uno stato sociale giusto ed efficiente.


I parlamentari che dopo una legislatura percepiscono la pensione, hanno espletato la loro capacità contributiva? L'elusione fiscale da parte delle banche e dei grandi gruppi finanziari non viola profondamente questo dovere sociale? I condoni fiscali non suonano come un vergognoso invito alla deresponsabilizzazione civile?


Tutto ciò è ancora più grave se si pensa che avviene con scudo legale. Sono infatti violazioni costituzionali a tutto tondo spalleggiate, però, da una copertura legale.


Nell'ultimo anno il Fisco ha recuperato dalle banche italiane un miliardo di euro operando nella direzione dell'Abuso di Diritto che porta all'elusione. Nello stesso periodo la metà della cifra, ovvero 500 milioni di euro, è stato l'introito statale derivante da 30000 controlli sull'evasione fiscale di persone fisiche.


L'Agenzia delle Entrate dice però di voler usare con cautela lo strumento dell'Abuso di Diritto nonostante l'efficienza che dimostrano le cifre sopra riportate.

Perchè?


La capacità critica che ognuno di noi dovrebbe usare per giudicare l'esercizio della politica diretta, fa pensare ad una logica di difesa nei confronti dei grandi gruppi finanziari, banche in testa, che sono, come è ormai evidente i burattinai del sistema economico, politico e sociale moderno.


Lo stesso Monti, che ha parlato della necessità di una legiferazione in tal senso, ha però ritenuto più opportuno seguire il lento procedere dell'iter parlamentare basato sulle proposte di legge fatte tempo fa datre parlamentari, invece che intervenire in materia rapidamente, con provvedimenti diretti dell'esecutivo da lui guidato.


Il sospetto che chi urla all'evasione voglia solo attirare l'attenzione su un aspetto specifico del problema contributivo in Italia e lo voglia fare con l'intenzione consapevole d'inabissare nell'ombra altri aspetti dello stesso problema, è un sospetto che sembra realtà.


Le liberalizzazioni sbandierate come lotta all'egemonia di lobby in specifiche categorie di lavoro sembra comunque scordarsi di alcune di queste; che, guarda caso, sono proprio quelle cui la storia professionale del nostro Presidente del Consiglio è legato (vedi Chiesa e banche).


Tornando al principio della capacità contributiva dettata costituzionalmente, un aspetto che lascia ugualmente perplessi è l'applicazione dell'aliquota IRPEF sule pensioni. Capacità contributiva significa capacità lavorativa, sempre leggendo la carta dei diritti e in particolare la norma che definisce l'Italia una Repubblica fondata sul lavoro; a rigor di logica, quindi, i pensionati dovrebbero aver esaurito la loro capacità contributiva e quindi pagato il loro pegno allo stato sociale. Ma non è così. L'IRPEF derivante dalle pensioni è poco meno del 30% del gettito complessivo. Oltre al fatto che questo iter pensionistico, a rifletterci, sembra un gioco di prestigio: è lo Stato che paga e che trattiene. Quindi è un semplice giro di denaro, più virtuale che reale, tra i vari istituti statali ovvero l'ennesimo labirinto burocratico che impedisce al cittadino qualsiasi di capire.


Il problema fiscale italiano è ben più complesso di quanto si pensi e riguarda ogni categoria lavorativa.


L avolontà politica sembra però rivolta ancora una volta, non alla soluzione del problema nella sua totalità, ma alla ricerca del pagliativo immediato che porti a cassa qualche spicciolo da poter mostrare come trofeo. E se andare a toccare le banche non è cosa giusta; se cercare di combattere la corruzione che, come anche quest'anno ha rilevato la Corte dei Conti, consta di miliardi di euro come giro d'affari; se non è morale richiedere il pagamento delle tasse agli istituti ecclesiastici che operano a scopo di lucro.


Allora ci si rivolge ancora e sempre a chi ha meno forza sociale: la classe media. Che non può permettersi fior fiore di avvocati per innescare contenziosi con lo Stato, che non può permettersi di contestare direttamente le regole con il proprio lavoro perchè altrimenti rimane senza lavoro.


E, come se non bastasse, la volontà politica innesca guerriglie sociali all'interno della stessa classe media al fine di annientare anche la sua ultima possibilità di protesta; l'unione e la coalizione vengono impedite per protrarre un'accettazione totale ed impedire la consapevolezza che forse non sono tutti i giocatori ad essere inesperti, ma le regole che impongono ad essere ingiuste.