domenica 13 novembre 2011

Tra le macerie dell'Aquila






dal blog di Luca La Gamma


L’Aquila, 8 novembre 2011 – Sono passati 2 anni, 7 mesi e 2 giorni da quel fatidico 6 Aprile 2009. Alle ore 3,32 l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia registrò il clamoroso sisma di magnitudo 5,8 Mw che rase al suolo gran parte del capoluogo abruzzese. Le 256 scosse successive, i 308 morti, i 1600 feriti (di cui 200 gravi) e i disagi per il popolo aquilano (notti all’addiaccio, case distrutte, carenza di cibo e riscaldamenti), sono ormai storia.

Due anni, 7 mesi e 2 giorni dopo quella brutale notte, L’Aquila si presenta ai miei occhi come se fosse stata abbandonata dagli uomini. Una città che ostenta una triste realtà: difficoltà di rinascita. Passeggiando per le strade del centro storico, passando per porta Bazzano fino ad arrivare alla più famosa via XX Settembre, luogo simbolo della strage, noto con enorme dispiacere che le promesse fatte dal governo (ricostruzione entro la fine di aprile 2010) non sono state mantenute. Intorno a me si presenta uno spettacolo inverosimile: cantieri aperti, palazzi “legati” (vedi foto ndr), muri sorretti da travi di legno e ancora, massi a terra, finestre rotte, case abbandonate. Dopo le 18,00 non c’è quasi più nessuno per le strade. Non si sentono rumori, non girano macchine, ci sono solo poche attività commerciali aperte.

Molte zone della città sono ancora off-limits. Ovunque volgo lo sguardo vedo divieti di accesso, case serrate che non saranno riaperte se non si attuerà un vero piano di ricostruzione. Arrivo davanti una pompa di benzina inaccessibile a causa dell’ instabilità delle mura. Noto con disprezzo che in due anni l’unico “sviluppo” che c’è stato riguarda il carburante. La crisi economico-sociale che ha inevitabilmente colpito questa città si respira nell’aria.

Arrivo alla Villa Comunale dove un nutrito numero di aquilani (stimati intorno al migliaio) si è riunito per manifestare contro il piano tasse per i terremotati. Mi fermo a parlare con un signore, Alfredo. Gli domando i motivi della manifestazione e vengo a sapere che sono ore decisive per stabilire l’abbattimento del 60% delle tasse da restituire. “Se il Presidente del Consiglio non firma il decreto di proroga, entro fine novembre dovremo pagare le tasse che ci sono state sospese nel periodo post-sismico (aprile 2009-giugno 2010 ndr)“. Verso le 17,30 arriva la conferma dell’ordinanza di proroga. Boccata d’ossigeno, l’ennesima, fino a fine dicembre. La furia dei manifestanti, però, si ripercuote sul sindaco de L’Aquila, Massimo Cialente e sul commissario per la ricostruzione, Gianni Chiodi, imbeccati dai fischi ad ogni intervento. “Ci fermeremo solo quando sarà approvato definitivamente l’emendamento con una copertura economica certa per una restituzione rimandata di almeno due anni e al 40% dell’importo, come avvenuto a seguito di tutte le altre catastrofi naturali in Italia”, mi racconta il signor Alfredo. “E’ il minimo che un governo possa fare in un territorio dove nulla di concreto si è fatto per risollevare l’economia, e dove la ricostruzione è ancora drammaticamente ferma.

L’Aquila dorme ancora, ma non per colpa degli aquilani che assistono impotenti ad una ripresa che non c’è mai stata. Questa è la triste realtà che mi si prospetta ad oltre due anni e mezzo dal terremoto. Non si sa quando il popolo aquilano tornerà a godere e a sfruttare appieno delle meraviglie di questa città, quando verranno riaperte tutte le strade e quando chi si è visto privare dalla natura dei propri beni immobili riuscirà a riappropriarsene. Il famoso aprile 2010 è passato, e anche il 2011. Il governo non fa niente, tranne prolungare la restituzione delle tasse di mese in mese. Troppo poco per un popolo distrutto dal punto di vista socio-economico. Troppo poco per un capoluogo di regione che merita di tornare a brillare di luce propria.