di Francesco Zanovello
"Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri". A dirlo è il Capo dello Stato Napolitano, che definisce "una follia" negare tale riconoscimento in un momento storico come questo, in cui i minori nati in Italia, figli di immigrati, rappresentano quasi il 4% degli alunni iscritti alle Scuole pubbliche, e i nuovi nati, sempre figli di stranieri, sono il 13,9% del totale di neo-nati in Italia. A dare questi numeri è il Ministro per la Cooperazione Internazionale e l'Integrazione Andrea Riccardi, che vuole agire alla guida del suo Dicastero in questa direzione, e afferma che "il Paese, senza i giovani figli di immigrati, avrebbe meno capacità di sviluppo".
Ѐ già difficile pensare che immigrati, residenti da anni in Italia, che regolarmente lavorano e regolarmente pagano le tasse, non ottengano le tutele intrinseche al diritto di cittadinanza per le lungaggini delle nostre regole in materia di acquisto della stessa e della burocrazia che opera per rilasciarla; ma ancor più difficile risulta sostenere che un bambino, nato in Italia, che parla italiano e studia nelle nostre Scuole, con i nostri figli e fratelli, non ottenga la cittadinanza al momento della nascita.
Ad oggi, secondo la legge 91/1992 in materia di Cittadinanza, questa si acquista alla nascita: 1) in base allo "ius sanguinis", ossia se i genitori sono già cittadini; 2) in base allo "ius soli", ossia se il neonato in Italia è figlio di apolidi (persone prive di qualunque cittadinanza) o neonato che non ottenga la cittadinanza dallo Stato di appartenenza dei genitori. Ѐ evidente che la condizione di acquisto della cittadinanza secondo "ius soli" è decisamente irrealizzabile: chi oggi nasce da persone provenienti dalla "terra di nessuno" e quindi prive di cittadinanza? Chi oggi non ottiene automaticamente la cittadinanza dello Stato di appartenenza dei genitori? Nessuno! Ѐ chiaramente una presa in giro, scritta per far vedere che anche in Italia si utilizza la regola dello "ius soli", ma in realtà sostanzialmente non produce effetti, o se li produce sono relativi ad un caso su un milione.
La cittadinanza è uno status al quale la nostra Carta Costituzionale ricollega una serie di diritti e di doveri; è condizione per l'esercizio dei diritti connessi alla sovranità popolare, e in particolare per l'acquisto dei diritti politici (per intenderci: elettorato attivo ed elettorato passivo). I doveri connessi a tale status, invece, sono quelli di solidarietà economica e sociale (sostanzialmente pagare le tasse!), doveri che vengono rispettati dagli immigrati che regolarmente lavorano e regolarmente contribuiscono economicamente, e allora perchè non garantirgli pure i diritti connessi allo status di cittadino? E perchè non garantirglieli fin dalla nascita? La esatta applicazione della disciplina dello "ius soli" prevede che chiunque nasca nel territorio di uno Stato, acquisti la cittadinanza dello Stato medesimo, a prescindere dalla cittadinanza posseduta dai genitori. Ѐ evidente allora che la disciplina applicata in Italia è del tutto farsesca!
Al fine di dare la corretta disciplina al principio dello "ius soli", il Pd ha presentato oggi (ieri per chi legge) al Senato una proposta di legge (firmata da 1/3 dei Senatori), che subito ha dato il via alla guerra delle dichiarazioni pro e contro. "Faremo le barricate in Parlamento e in piazza", ha affermato Calderoli come portavoce dell'area leghista, e La Russa (Pdl) si è spinto fino a sostenere che "così si fa cadere il Governo", ammettendo in questo modo che qualora l'azione dell'Esecutivo dovesse spostarsi dalla mera e restrittiva azione di salvataggio dell'Italia dalla crisi economica, il Pdl sarebbe pronto a ritirare la fiducia accordata. Non è vero però che questo sia un tema tabù per il centro-destra italiano, dal momento che il Terzo Polo (con Casini e Fini) appoggiano la proposta del Pd e hanno intenzione di agire nell'indirizzo tracciato dal Presidente Napolitano. E allora cosa blocca a tal punto il Pdl e la Lega? Cosa li spinge a considerare diverso da loro un uomo nato, cresciuto ed educato in Italia?
La questione che ci si (ri)propone oggi è la seguente: dobbiamo piegarci all'intolleranza della più becera cultura nazionalpopolare o dobbiamo agire da Paese cosmopolita del Terzo millennio, consapevole che la chiusura culturale nei confronti del "diverso" non porta ad altro che non sia regressione culturale, ma anche economica e politica? Le prospettive che guardano al futuro devono partire dalla risposta affermativa a questa seconda domanda.
"Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri". A dirlo è il Capo dello Stato Napolitano, che definisce "una follia" negare tale riconoscimento in un momento storico come questo, in cui i minori nati in Italia, figli di immigrati, rappresentano quasi il 4% degli alunni iscritti alle Scuole pubbliche, e i nuovi nati, sempre figli di stranieri, sono il 13,9% del totale di neo-nati in Italia. A dare questi numeri è il Ministro per la Cooperazione Internazionale e l'Integrazione Andrea Riccardi, che vuole agire alla guida del suo Dicastero in questa direzione, e afferma che "il Paese, senza i giovani figli di immigrati, avrebbe meno capacità di sviluppo".
Ѐ già difficile pensare che immigrati, residenti da anni in Italia, che regolarmente lavorano e regolarmente pagano le tasse, non ottengano le tutele intrinseche al diritto di cittadinanza per le lungaggini delle nostre regole in materia di acquisto della stessa e della burocrazia che opera per rilasciarla; ma ancor più difficile risulta sostenere che un bambino, nato in Italia, che parla italiano e studia nelle nostre Scuole, con i nostri figli e fratelli, non ottenga la cittadinanza al momento della nascita.
Ad oggi, secondo la legge 91/1992 in materia di Cittadinanza, questa si acquista alla nascita: 1) in base allo "ius sanguinis", ossia se i genitori sono già cittadini; 2) in base allo "ius soli", ossia se il neonato in Italia è figlio di apolidi (persone prive di qualunque cittadinanza) o neonato che non ottenga la cittadinanza dallo Stato di appartenenza dei genitori. Ѐ evidente che la condizione di acquisto della cittadinanza secondo "ius soli" è decisamente irrealizzabile: chi oggi nasce da persone provenienti dalla "terra di nessuno" e quindi prive di cittadinanza? Chi oggi non ottiene automaticamente la cittadinanza dello Stato di appartenenza dei genitori? Nessuno! Ѐ chiaramente una presa in giro, scritta per far vedere che anche in Italia si utilizza la regola dello "ius soli", ma in realtà sostanzialmente non produce effetti, o se li produce sono relativi ad un caso su un milione.
La cittadinanza è uno status al quale la nostra Carta Costituzionale ricollega una serie di diritti e di doveri; è condizione per l'esercizio dei diritti connessi alla sovranità popolare, e in particolare per l'acquisto dei diritti politici (per intenderci: elettorato attivo ed elettorato passivo). I doveri connessi a tale status, invece, sono quelli di solidarietà economica e sociale (sostanzialmente pagare le tasse!), doveri che vengono rispettati dagli immigrati che regolarmente lavorano e regolarmente contribuiscono economicamente, e allora perchè non garantirgli pure i diritti connessi allo status di cittadino? E perchè non garantirglieli fin dalla nascita? La esatta applicazione della disciplina dello "ius soli" prevede che chiunque nasca nel territorio di uno Stato, acquisti la cittadinanza dello Stato medesimo, a prescindere dalla cittadinanza posseduta dai genitori. Ѐ evidente allora che la disciplina applicata in Italia è del tutto farsesca!
Al fine di dare la corretta disciplina al principio dello "ius soli", il Pd ha presentato oggi (ieri per chi legge) al Senato una proposta di legge (firmata da 1/3 dei Senatori), che subito ha dato il via alla guerra delle dichiarazioni pro e contro. "Faremo le barricate in Parlamento e in piazza", ha affermato Calderoli come portavoce dell'area leghista, e La Russa (Pdl) si è spinto fino a sostenere che "così si fa cadere il Governo", ammettendo in questo modo che qualora l'azione dell'Esecutivo dovesse spostarsi dalla mera e restrittiva azione di salvataggio dell'Italia dalla crisi economica, il Pdl sarebbe pronto a ritirare la fiducia accordata. Non è vero però che questo sia un tema tabù per il centro-destra italiano, dal momento che il Terzo Polo (con Casini e Fini) appoggiano la proposta del Pd e hanno intenzione di agire nell'indirizzo tracciato dal Presidente Napolitano. E allora cosa blocca a tal punto il Pdl e la Lega? Cosa li spinge a considerare diverso da loro un uomo nato, cresciuto ed educato in Italia?
La questione che ci si (ri)propone oggi è la seguente: dobbiamo piegarci all'intolleranza della più becera cultura nazionalpopolare o dobbiamo agire da Paese cosmopolita del Terzo millennio, consapevole che la chiusura culturale nei confronti del "diverso" non porta ad altro che non sia regressione culturale, ma anche economica e politica? Le prospettive che guardano al futuro devono partire dalla risposta affermativa a questa seconda domanda.