di Martina Strazzeri
Oggi parliamo del carcere bolognese, situato in estrema periferia. E' una dura realtà quella che sono costretti a vivere i detenuti. Può accadere, anzi accade e basta, che in dieci metri quadrati ci debbano convivere tre uomini. Questi uomini non conoscono il concetto di spazio. Tutto è ammucchiato, pentole, letti, arresti, libri, scarpe, ecc..
Pochi sono ad essere considerati «fortunati». Uno di questi è Franco, 46 anni, con una pena che sarà terminata nel 2014, e che dice: «Mi ritengo fortunato sono uno dei pochi con un'occupazione fissa. Lavoro nella squadra verde dei giardinieri. Vado in palestra. Non passo tutto il tempo steso in branda a fissare il soffitto. Sono un privilegiato rispetto ai tanti, ai troppi che siamo, con gli immigrati ultimi degli ultimi».
Non è facile gestire una pressione del genere e chi non ci riesce viene spedito all'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, l'ex manicomio criminale.
Alberto Di Caterino, comandante della polizia penitenziaria, racconta: «I più provati sono i ragazzi tunisini sbarcati a Lampedusa, disorientati, senza punti di riferimento».
La direttrice Ione Toccafondi ritiene che il carcere serva solamente per i casi gravi e non possa essere ricondotto ad una discarica sociale. La donna ha affermato: «No, non mi sento una carceriera sono un funzionario dello Stato che crede in quello che fa».
Da poco, è stato introdotto l'apiario allestito nel prato sul quale verrà costruito un padiglione da 200 posti. Quattro sono i detenuti che producono miele e una cooperativa sta cercando i contatti necessari per venderlo all'esterno.
E i tagli non hanno di certo influito positivamente. Infatti, la Polpenitenziaria è sotto di 200 unità. I posti di lavoro interni, scopini, spesini, addetti alla "manutenzione ordinaria fabbricato", cuochi, lavandai, barbieri..., sono più che dimezzati.
La direttrice ha affermato: «Ne restano 108 con turni ridotti, contratti a tempo determinato, stipendi abbassati».
Oggi parliamo del carcere bolognese, situato in estrema periferia. E' una dura realtà quella che sono costretti a vivere i detenuti. Può accadere, anzi accade e basta, che in dieci metri quadrati ci debbano convivere tre uomini. Questi uomini non conoscono il concetto di spazio. Tutto è ammucchiato, pentole, letti, arresti, libri, scarpe, ecc..
Pochi sono ad essere considerati «fortunati». Uno di questi è Franco, 46 anni, con una pena che sarà terminata nel 2014, e che dice: «Mi ritengo fortunato sono uno dei pochi con un'occupazione fissa. Lavoro nella squadra verde dei giardinieri. Vado in palestra. Non passo tutto il tempo steso in branda a fissare il soffitto. Sono un privilegiato rispetto ai tanti, ai troppi che siamo, con gli immigrati ultimi degli ultimi».
Non è facile gestire una pressione del genere e chi non ci riesce viene spedito all'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, l'ex manicomio criminale.
Alberto Di Caterino, comandante della polizia penitenziaria, racconta: «I più provati sono i ragazzi tunisini sbarcati a Lampedusa, disorientati, senza punti di riferimento».
La direttrice Ione Toccafondi ritiene che il carcere serva solamente per i casi gravi e non possa essere ricondotto ad una discarica sociale. La donna ha affermato: «No, non mi sento una carceriera sono un funzionario dello Stato che crede in quello che fa».
Da poco, è stato introdotto l'apiario allestito nel prato sul quale verrà costruito un padiglione da 200 posti. Quattro sono i detenuti che producono miele e una cooperativa sta cercando i contatti necessari per venderlo all'esterno.
E i tagli non hanno di certo influito positivamente. Infatti, la Polpenitenziaria è sotto di 200 unità. I posti di lavoro interni, scopini, spesini, addetti alla "manutenzione ordinaria fabbricato", cuochi, lavandai, barbieri..., sono più che dimezzati.
La direttrice ha affermato: «Ne restano 108 con turni ridotti, contratti a tempo determinato, stipendi abbassati».