di Simone Ferrali
“Sono certo che morirò avendo fallito il mio programma di vita: non vedrò l’emancipazione civile dell’Italia. Sono passato per alcuni innamoramenti, la Resistenza, Mattei, il miracolo economico, il centro-sinistra. Non è che allora la politica fosse entusiasmante, però c’erano principi riconosciuti: i giudici fanno giustizia, gli imprenditori impresa. Invece mi trovo un paese in condominio con la mafia. E il successo di chi elogia i vizi, i tipi alla Briatore.”
Questo è quello che affermò Giorgio Bocca intervistato dall' “Espresso” nel 2007.
Come dargli torto, come contraddirlo?
Con Giorgio Bocca muore definitivamente una “Grande generazione di giornalisti” rappresentata dal trio Biagi-Bocca-Montanelli; giornalisti diversi con in comune una cosa: il fatto di non essere leccaculi dei potenti.
Bocca aveva una personalità molto particolare, e non aveva paura di esprimere la sua opinione, anche se questa storceva con il contesto. In gioventù appoggiò il fascismo come tanti suoi contemporanei, ma dopo l'8 settembre 1943 aderì alla lotta partigiana; negli anni '90 firmò alcune mozioni della Lega Nord e fu definito razzista, ma nel corso degli anni ha criticato i politici di Ponte di legno. Quando Craxi entrò in politica lo appoggiò, ma dopo i primi suoi errori, Bocca tornò sui suoi passi attaccandolo in ogni occasione. Nonostante abbia lavorato per Finivest, Bocca detestava Berlusconi e tutto il battaglione di “mignotte e trombettieri” che lo circondavano. Dopo l'uscita “infelice” sulle BR fu accusato da tutti, ed anche qui dopo anni tornò sui suoi passi.
Bocca però, non è stato solo l'uomo delle contraddizioni. E' stato l'uomo che “non parlava ma bombardava”; quando esprimeva la sua, scatenava sempre aspre polemiche. Si può essere o non essere d'accordo sulle sue idee, ma non si può contestare il suo lavoro: era temuto da tutti i potenti, perché non aveva paura di dire la sua.
Nelle sue ultime interviste ha paragonato l'Italia alla Germania di Hitler, nella quale tutti sapevano chi era Hitler, ma, nonostante ciò, caddero tra le sue braccia: uguale ha fatto l'Italia con B..
In un'intervista rilasciata a Marco Travaglio, Bocca affermò che lo deprimeva la lettura dei giornali e la televisione italiana; appoggio in pieno la sua idea secondo la quale, la nostra democrazia è diventata autoritaria perché i giornalisti di oggi sono o comprati o terrorizzati. L'unico barlume di speranza, Bocca lo vedeva nel Popolo Viola, perché secondo lui se in futuro si mobiliteranno i giovani, le cose potranno cambiare.
Era un giornalista con le “palle quadrate”, che sapeva tornare sulle proprie idee e non aveva paura di esprimere il proprio pensiero, giusto o sbagliato che fosse. Qualcuno ha avuto il coraggio di accostarlo ai trombettieri di B., capaci di cambiare partito in nome dei soldi (Cicchito e Tremonti per esempio erano nel Psi): a queste persone vorrei dire che un conto è lasciare le proprie idee per andare verso i soldi e il potere, un conto è rifiutare il potere per sostenere le proprie idee, anche tornando sui propri passi. Infatti anche se Bocca spesso, nel corso degli anni, è tornato sui suoi passi, ha sempre avuto il coraggio di sostenere le proprie tesi con grande convinzione. A volte cambiare idea, senza essere condizionati da soldi o guai giudiziari, non è da incoerenti, ma da persone intelligenti (sottolineo: SENZA ESSERE CONDIZIONATI DA SOLDI O GUAI GIUDIZIARI).
Io credo che Bocca debba essere un esempio per tutti (non le sue idee, ma il suo modo di fare) i giornalisti, in quanto ha sempre provato a raccontare la realtà dei fatti; quando, finita la lotta partigiana, ha smesso di lottare fisicamente, è diventato un “partigiano con la penna” combattendo sempre contro coloro i quali aveva contribuito a rovinare l'Italia, che lui e il suo amico Duccio Galimberti (insieme a tutti gli altri partigiani) avevano sognato. Un'Italia migliore nella quale lo Stato non vive in condominio con le mafie e che non esalta i vizi e i tipi alla Briatore.
Ognuno avrà la propria idea, io ho la mia: Giorgio Bocca è stato un maestro del giornalismo, e l'unica speranza è che come lui ne rinascano a bizzeffe.