mercoledì 14 dicembre 2011

Frequenze tv, la consuetudine del compromesso


di Daniele Pezzini

La manovra finanziaria presentata lo scorso 4 Dicembre sta lentamente mettendo in luce tutti i difetti e le ombre di un governo che nei primi giorni di insediamento veniva incensato dalla quasi totalità dell’opinione pubblica per la netta discontinuità con il passato che apparentemente marcava. La tanto lodata “sobrietà” del Presidente Monti e dei suoi ministri, per quanto in totale antitesi con l’ “ebbrezza” della scorsa legislatura, non pare infatti sufficiente a cambiare le cose in un paese che ogni giorno di più palesa enormi difficoltà nel distaccarsi dagli schemi del passato.

Un primo segnale era stato dato con la decisione di illustrare i provvedimenti in materia economica presso uno dei principali luoghi del misfatto berlusconiano: lo studio Rai di Porta a Porta in cui fu firmato il famigerato “contratto con gli italiani”. Una sciocchezza direte voi. Ma comunque un campanello d’allarme, la prima caduta di stile del professor Monti.

Segnali ben più evidenti e preoccupanti non si sono fatti attendere nei giorni successivi, a manovra esposta. Sembra infatti conclamato che il succo delle decisioni prese dal governo sia “pagano sempre gli stessi” e qualche tassa qua e là su yacht ed elicotteri non può certo mascherare la stangata su casa e pensioni. Quel misero 1,5% sui capitali scudati poi pare talmente inutile che sta già per essere accantonato con una scusa del tipo “tanto chi ha beneficiato dello scudo fiscale quei soldi li ha già reinvestiti”.

Ecco dunque che ci troviamo di fronte ad una questione a dir poco spinosa: cosa è cambiato nel passaggio di consegne dai politici ai tecnici? Decisioni così tristemente poco “speciali” le avrebbe potute prendere qualsiasi altro governo eletto, che tutt’al più avrebbe sostituito le lacrime con qualche ordinario sorriso di facciata. Il professor Monti, che di certo non è un incompetente, ha semplicemente dovuto adeguarsi ad un meccanismo ben oliato, ad una consuetudine tutta italiana: quella del compromesso. E ciò è stato messo in evidenza negli ultimi giorni dalla controversa vicenda delle frequenze tv.

Secondo un decreto del governo Berlusconi, le nuove frequenze per la tv digitale non vengono assegnate con una ragionevole asta al rialzo, ma con una procedura chiamata “beauty contest” che prevede l’assegnazione gratuita in base a criteri come il fatturato e il numero dei dipendenti. Un vero e proprio concorso di bellezza, di quelli tanto cari all’ex Presidente del Consiglio, che mira a favorire le più belle di tutte: miss Rai e miss Mediaset. Ora, sostituire questa procedura con un’asta competitiva sarebbe non solo giudizioso ma anche piuttosto redditizio per le casse dello Stato in tempi di crisi (si parla di circa quattro miliardi di euro di potenziali introiti). Ma è proprio su questo punto che si palesano le difficoltà del nuovo governo ad aggirare la consuetudine del compromesso. Berlusconi infatti ha chiaramente posto il veto su tale provvedimento dichiarando che l’eventuale gara sarebbe disertata da molti, e ciò che Berlusconi non vuole ancora non si può fare. Sarà la sua sempre notevole influenza politica, sarà la maggioranza che il Pdl detiene tutt’ora al Senato, sta di fatto che il tema dell’introduzione di un’asta per le frequenze non è ancora stato sfiorato. “Stiamo approfondendo” si è limitato a dire il Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera.

Insomma le richieste dei lavoratori, dei pensionati, delle donne e dei giovani vanno ascoltate, quelle del Cavaliere vanno esaudite.

A quanto pare la sobrietà non basta.