mercoledì 30 novembre 2011

Non vogliamo solo i libri. Vogliamo anche le rose


di Lucia Pugliese

Qualche giorno fa è stata celebrata la giornata contro la violenza sulle donne. Oggi, il signor Camillo Langone, dalle pagine di Libero predica una minore scolarizzazione femminile per favorire le nascite: dobbiamo fare molti figli, per contrastare così l’arrivo dei migranti, notoriamente molto più prolifici della media italiana.

Non vi è dubbio, come già ha osservato Francesco Napoletti nel suo bell’articolo, sempre su Vergognarsi.it, che sia vero che nei paesi a più alta scolarizzazione si facciano meno figli. Può essere più o meno discutibile, il fatto che sia necessario figliare di più: di sicuro, le ragioni non sono da ricercare nel presunto pericolo costituito dalnumero di stranieri nel nostro paese. Tuttavia Ciò che emerge di più inquietante dalle parole di Langone, è un concetto di femminilità fuori tempo e fuori luogo: la donna come strumento della procreazione, non persona, ma semplicemente utero.

Il mio pensiero va subito ad un bellissimo film italiano diretto da Alina Marazzi: “Vogliamo anche le rose”, uscito nel 2008. Si tratta di una lezione di storia sulle vicende delle donne italiane e la lotta per l’emancipazione, ma soprattutto un’espressione di femminilità.

Molti volti, molte storie attraversano questo documentario, per ricordare che donna è interiorità, intelligenza, sentimento. Che essere donna significa dovere e potere dare un contributo a questa società: non come corpi, ma come persone. Noi donne siamo diverse, certo, ma pari agli uomini in diritti, doveri e dignità. Possono essere donne gli avvocati, le professoresse,le operaie: ogni causa vinta, ogni nozione insegnata, ogni bullone avvitato sono un tassello che aiuta la nostra società a crescere. Se noi fossimo meno istruite, saremmo non solo sottomesse, ma anche meno utili.

Le donne, sembra suggerire Marrazzi, non hanno problemi con l’essere moglie e madre in sé, ma con un concetto dell’essere moglie e madre radicato nella nostra società. Meno oggi che in passato probabilmente, ma episodi come l’articolo di Langone, suggeriscono che la strada per l’uguaglianza, nelle coscienze oltre che nella forma, è ancora lunga. La libertà e la parità non stanno tanto nella possibilità di prostituirsi, come piace tanto sostenere a qualche escort che gironzola nelle sale del potere. Se poi, sia necessario favorire la formazione di famiglie numerose, che si prendano provvedimenti seri in tal senso: anche negli anni 70 filmati in “Vogliamo anche le rose” si chiedeva ciò che molte donne chiedono oggi, cioè asili nido, paghe equivalenti a quelle degli uomini, e che i mariti e i compagni si decidano a fare la propria parte nei lavori di casa. Non si può chiedere a nessuno, uomo o donna, di portare quasi interamente il peso della vita familiare. In una scena molto bella del documentario di Marrazzi un uomo, intento ad occuparsi del figlio e di alcune faccende domestiche, afferma di essere contento se sua moglie, casalinga, abbia deciso di iscriversi ad una scuola serale, dedicandosi quindi ad attività culturali al di fuori della casa. Quest’uomo, con semplicità suggerisce che se sua moglie è felice, allora è soddisfatto anche lui.

Ciò che conta secondo Marrazzi, è la libertà di scegliere: si può essere madri, e non esserlo. L’errore sta in ruoli imposti, codificati dalla società e diventati quasi dogmi, che spezzano le ali a qualunque possibilità di progresso.

Significativamente, gli anni raccontati in “Vogliamo anche le rose” sono anche quelli in cui anche il cinema scopriva lo sguardo femminile: si parlava allora di donna non più solo come oggetto, ma come soggetto dello sguardo cinematografico. Da allora sono molte le pellicole che hanno raccontato, in modi e forme diverse, le varie declinazioni dell’essere donna e libera. Permettemi di citare le mie preferite: forse non le più belle, o le più artisticamente rilevanti, ma comunque a mio giudizio cariche di significato: Angeli D’acciaio (2004 di Von Garnier, con Anjelica Houston, e Hillary Swank), Mona Lisa Smile ( 2003,di Newell con Julia Roberts), Agorà (2009 di Amenabar, con Rachel Weiz) e il magistrale Jayne Eyre (1996, di Zeffirelli, con Charlotte Gainsbourg).