venerdì 17 giugno 2011

La dieta degli italiani non prevede il Porcellum


Il maiale in questione è la famosa legge porcellum di Calderoni, quella che ha tolto il diritto di voto agli italiani. Per abrogarla è stato, in questi giorni, proposto un referendum.
Nel comitato promotore ci sono molti gli esponenti del mondo della cultura, dell'arte, della scienza, delle professioni, delle associazioni e del lavoro, tra cui Stefano Passigli, Claudio Abbado, Dacia Maraini, Giovanni Sartori, Tullio de Mauro, Renzo Piano, Inge Feltrinelli, Innocenzo Cipolletta, Margherita Hack, Benedetta Tobagi, Franco Cardini, Massimo Teodori, Umberto Ambrosoli e Massimo Villone.
Perché occorre uccidere questo porcellum il prima possibile?
Innanzitutto la legge si può considerare in controtendenza con l'esito del referendum del 18 aprile 1993, il quale, con un consenso dell'82,7% dei voti e un'affluenza del 77%, portò all'abrogazione di alcuni articoli della vecchia normativa elettorale proporzionale del Senato, configurando un sistema maggioritario, delineato in seguito dalle leggi 276 (per il Senato) e 277 (per la Camera, nota anche come legge Mattarella) del 4 agosto 1993. Il sistema introdotto dalla legge 270 è completamente nuovo, anche se il premio di maggioranza per la coalizione vincente alla Camera (un vero e proprio unicum nel contesto europeo) era già apparso in due leggi elettorali italiane del passato: la legge Acerbo del 1923 e la cosiddetta "legge truffa" del 1953.
Nell’autunno 2005 , in vista delle elezioni dell´anno successivo, il governo di Berlusconi decise di abolire la competizione uninominale (dove si eleggevano i tre quarti dei parlamentari), a favore di quella proporzionale (dove il centrodestra otteneva risultati molto migliori). Con tre innovazioni, importanti e significative:
1)l´attribuzione di un premio di maggioranza alla “coalizione” e non al partito vincente;
2) l´indicazione del candidato premier;
3)l´introduzione delle liste bloccate e la conseguente abolizione delle preferenze.
In sostanza la probabilità di venire eletti, per i candidati, dipendeva dalla loro posizione in lista. Con l´esito di aumentare enormemente il potere delle segreterie centrali e dei “padroni” dei partiti, che detenevano e detengono il controllo delle candidature.
Da ciò i diversi ostacoli – e i diversi nemici – di fronte a ogni cambiamento di questa legge. Vi si oppongono il PdL e la Lega. Soprattutto di fronte alla prospettiva di una legge, come l´uninominale di collegio, che li penalizzi.
Ma è difficile immaginare una larga convergenza, su questa prospettiva, in Parlamento, anche fra i partiti di opposizione.
Ma se i parlamentari sono tiepidi, neppure gli elettori sembrano sensibili a questa materia.
Nel 2009 si tennero tre referendum abrogativi, tesi a modificare tale legge in più punti. Questi referendum, inizialmente fissati per il 18 maggio 2008, sono stati poi rimandati al 21 giugno 2009 per lo scioglimento anticipato delle Camere, avvenuto il 6 febbraio 2008. Tutti e tre i referendum non sono riusciti a raggiungere il quorum del 50% più un elettore, pertanto sono stati dichiarati non validi.
Perché è invece fondamentale che gli italiani ricorrano al referendum per abrogare in tutto o in parte questa legge-porcata?
In primo luogo per gli evidenti profili di incostituzionalità della legge stessa.
L’art. 48 della Costituzione italiana recita: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto”. La legge elettorale vigente è incostituzionale perchè non rispetta il principio della libertà di voto negando di fatto ai cittadini la possibilità di eleggere, votandoli, i candidati dai quali si sentono rappresentati. Con questa legge le elezioni sono inutili dal momento che, dopo la presentazione delle liste, tutti sono già a conoscenza dei nomi dei sicuri eletti che entreranno in Parlamento. E’ pertanto evidente che in questo modo viene impedito al cittadino di esercitare in piena libertà il suo diritto di voto, riducendo l’elezione a un plebiscito a favore di questo o quel partito, violando così lo spirito e la lettera della Costituzione.
Occorre allora dire chiaramente che l’essenza dell’inaccettabilità della legge Calderoli risiede nella sua strutturale, drastica ed irrimediabile incostituzionalità.
Il cuore della sua incostituzionalità sta nel meccanismo di trasformazione dei voti in seggi che, attraverso il premio di maggioranza, determina una inaudita manipolazione della volontà popolare, correggendo l’orientamento manifestato dagli elettori fino al punto da trasformare – per legge - una minoranza (più forte delle altre per un solo voto) in una solida maggioranza, garantendole il 55% dei seggi della Camera dei Deputati.
In questo modo viene istituzionalizzata la disuguaglianza nel voto, dal momento che per eleggere un deputato della minoranza, trasformata in maggioranza per legge, occorre un numero di voti sensibilmente minore di quelli che occorrono per eleggere un deputato della minoranza non trasformata in maggioranza per legge.
Il porcellum non è stata sottoposto a scrutinio di costituzionalità, sebbene la questione sia stata portata innanzi ai tribunali amministrativi ed ordinari. L’autorità giudiziaria, infatti, ha declinato la propria giurisdizione per un malinteso senso di rispetto delle prerogative di autodichia del Parlamento. Le Sezioni Unite della Cassazione con cinque sentenze dell’8 aprile 2008 (dal n. 9151/08 al n. 9158/08) hanno dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione, rendendo impraticabile il ricorso alla Corte Costituzionale.
Tuttavia la Corte Costituzionale si è occupata – in via incidentale – della sostenibilità costituzionale della legge Calderoli in sede di esame dell’ammissibilità del referendum manipolativo-abrogativo della L. 270/2005, proposto dal comitato presieduto dal prof. Giovanni Guzzetta, ed ha lanciato un grido d’allarme. Nella sentenza n.15 del 2008, pur consapevole di non potere dare in quella sede un giudizio anticipato di incostituzionalità delle norme della legge Calderoli, la Corte tuttavia ha osservato che: “L’ impossibilità di dare, in questa sede, un giudizio anticipato di legittimità costituzionale non esime tuttavia questa Corte dal dovere di segnalare al Parlamento l’esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi”.
Ora, questa concezione che attraverso le elezioni i cittadini siano chiamati ad eleggere un governo – bisogna dirlo forte – è inconciliabile con la forma della democrazia prefigurata dalla Costituzione italiana, fondata sulla centralità del Parlamento come luogo della rappresentanza politica.
Nella democrazia costituzionale, fondata sulla partecipazione dei cittadini (non solo attraverso il voto), per concorrere – con metodo democratico – associandosi liberamente in partiti, a determinare la politica nazionale (art.49 Cost), le elezioni politiche generali non servono ad eleggere un Governo, né tanto meno il Capo del Governo, né a determinare quali forze politiche devono governare per l’arco di tutta la legislatura. Se così fosse il popolo sovrano conterebbe un solo giorno e poi dovrebbe tacere per cinque anni.

Gli italiani vogliono questo? A loro basta avere una matita tra le mani ogni 5 anni che serve ad eleggere persone scelte esclusivamente dai partiti e nelle cui mani affidano, con un vero atto di fede spesso poi clamorosamente tradita, il loro futuro?


Leonardo Iacobucci
asinichevolano.altervista.org