martedì 29 novembre 2011

La speranza è una trappola infame inventata dai padroni


di Ketty Iannantuono

E’ passato un anno dalla scomparsa di Mario Monicelli, voce del cinema italiano sincera, viscerale e dissacrante, tanto da risultare spesso scomoda. Il cinema di Monicelli ha rivelato agli italiani il loro insospettabile lato oscuro, attraverso un elenco di personaggi memorabili. Facendo ridere, questo artigiano della macchina da presa, ha dipinto un affresco di bricconi scombinati, opportunisti fifoni e ladruncoli sfigati, di Brancaleoni, di Perozzi, di Busacca e Jacovacci. Ha messo in scena maschere meravigliose affidandole a grandiosi attori come Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni e Alberto Sordi, Philippe Noiret e Totò, Capannelle e Murgia, protagonisti di un cinema divertente e colto, popolare e ricco d’intelligenza.

Curzio Maltese, giornalista de La Repubblica, al momento della scomparsa dell’amico Mario Monicelli, lo ricordava citando una sua confidenza di qualche tempo prima “Se dovessi essere costretto a una vita che non è vita, la farei finita anch'io”. Monicelli non era religioso. Diceva che avrebbe voluto credere nel pantheon delle divinità greche, perché affollato di tanti dei cialtroni ma allegri, mentre “il dio della Bibbia è in assoluto uno dei personaggi più cupi della letteratura mondiale”. Sul set del suo ultimo eroico film, “Le rose del deserto”, girato a novant'anni, confessò di non aver paura della morte ma del giorno in cui avrebbe smesso di lavorare. Mai retorico e sempre dannatamente sincero, il 29 novembre 2010, il regista 95enne ha posto fine alla sua vita prima che potesse farlo il cancro in fase terminale.

Non si può proprio dire che Monicelli si sia arreso. Combattiva coscienza critica, con la sua lucida ironia e il suo malcelato cinismo, Monicelli ha vissuto una lunga vita di lavoro e lotta sociale (ancora pochi giorni prima di morire era in piazza contro i tagli al cinema e alla cultura), senza illusioni o speranze consolatorie. Nella speranza, d’altronde, Monicelli non credeva. “La speranza –sosteneva Monicelli- è una trappola infame inventata dai padroni”.