di Lorenzo Fulgosi
In questi giorni di difficoltà davvero estrema dal punto di vista economico per l'Italia, si sente parlare in maniera quasi estenuante solo di spread, di borsa e di lettere colme di buoni intenti inviate, neanche fossimo già a Natale. Come al solito quindi in Italia si parla di tutto tranne di chi lavora veramente, ovvero di chi ha il merito esclusivo di non aver mandato già da tempo la nazione a rotoli. Eppure in molte realtà industriali la situazione è davvero disperata, ad esempio:
- Fiat, Termini Imerese chiude nel 2011, mentre a Pomigliano i lavoratori sono in Cassa integrazione da oltre due anni;
- Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), 400 ricercatori rischiano di non vedersi rinnovare i contratti;
- Alcoa rischia la chiusura, 2000 lavoratori andrebbero a casa;
- Agile – Omega rischia la chiusura, 2000 lavoratori rimarrebbero senza lavoro;
- Nortel azienda smembrata e venduta a pezzi, 28 lavoratori licenziati;
- Yamaha, 66 lavoratori a rischio;
- Ansaldo Breda, un piano di ristrutturazione prevede 600 esuberi;
- Nokia Siemens, 600 lavoratori a rischio.
- Merloni, 1600 lavoratori in cassa integrazione su 2000;
- Iris, accordo per 24 mesi di cassa integrazione, la Fiat chiude lo stabilimento, e il governo rischia di dover pagare multe all'Europa per la circolazione di autobus vecchi e inquinanti.
Questi sono solo alcuni degli esempi di aziende in crisi, che per salvarsi decidono di rinunciare alle prestazioni dei loro dipendenti, che una volta licenziati dovrebbero essere tutelati in qualsiasi modo possibile da politiche di aiuto da parte del governo. Di tutta risposta però i dipendenti ricevono risposte veramente fuori da ogni logica, dove non solo non si tutelano i diritti di questi, ma addirittura si cerca di far passare il messaggio che per risolvere l'attuale crisi delle aziende occorre favorire ancor di più la mobilità nel lavoro e si devono facilitare ancor di più i licenziamenti.
La miglior risposta a provvedimenti di questo tipo vengono proprio dai lavoratori stessi, e nello specifico dalla lettera scritta dalla signora Roberta Fuso, operaia Fiat di Mirafiori, in cassa integrazione da 10 mesi, e che al referendum sul piano Marchionne ha votato no:
«Cari colleghi, da circa un anno, non siamo più le tute blu di Mirafiori, ma siamo diventati gli invisibili, non ci sentono, non ci vedono, ma noi ci siamo e respiriamo!
I padroni e i signori che ci governano ci hanno tolto tutto. L'unica cosa che non sono riusciti a portarci via è la DIGNITA', e di quella nè abbiamo da vendere (al contrario di loro).
Il mese scorso ho fatto i conti. Io mensilmente prendo oggi, in euro, quello che 33 anni fa prendevo in lire. E' vergognoso! L'unica differenza che c'è tra noi e loro, è che noi ci guardiamo allo specchio e non ci vergognamo.
Vi voglio dire un' ultima cosa. Alziamo la testa ed andiamo avanti. Non abbiamo più nulla da perdere, riprendiamoci quello che ci spetta. Colleghi, coraggio!».
Inoltre aggiunge: «Prima mi sentivo orgogliosa di essere un'operaia [...] adesso me ne vergogno perchè ci guardano male, ci guardano come fossimo morti di fame. No non siamo morti di fame, loro ci hanno tolto quello che noi abbiamo guadagnato in tanti anni.»
In questi giorni di difficoltà davvero estrema dal punto di vista economico per l'Italia, si sente parlare in maniera quasi estenuante solo di spread, di borsa e di lettere colme di buoni intenti inviate, neanche fossimo già a Natale. Come al solito quindi in Italia si parla di tutto tranne di chi lavora veramente, ovvero di chi ha il merito esclusivo di non aver mandato già da tempo la nazione a rotoli. Eppure in molte realtà industriali la situazione è davvero disperata, ad esempio:
- Fiat, Termini Imerese chiude nel 2011, mentre a Pomigliano i lavoratori sono in Cassa integrazione da oltre due anni;
- Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), 400 ricercatori rischiano di non vedersi rinnovare i contratti;
- Alcoa rischia la chiusura, 2000 lavoratori andrebbero a casa;
- Agile – Omega rischia la chiusura, 2000 lavoratori rimarrebbero senza lavoro;
- Nortel azienda smembrata e venduta a pezzi, 28 lavoratori licenziati;
- Yamaha, 66 lavoratori a rischio;
- Ansaldo Breda, un piano di ristrutturazione prevede 600 esuberi;
- Nokia Siemens, 600 lavoratori a rischio.
- Merloni, 1600 lavoratori in cassa integrazione su 2000;
- Iris, accordo per 24 mesi di cassa integrazione, la Fiat chiude lo stabilimento, e il governo rischia di dover pagare multe all'Europa per la circolazione di autobus vecchi e inquinanti.
Questi sono solo alcuni degli esempi di aziende in crisi, che per salvarsi decidono di rinunciare alle prestazioni dei loro dipendenti, che una volta licenziati dovrebbero essere tutelati in qualsiasi modo possibile da politiche di aiuto da parte del governo. Di tutta risposta però i dipendenti ricevono risposte veramente fuori da ogni logica, dove non solo non si tutelano i diritti di questi, ma addirittura si cerca di far passare il messaggio che per risolvere l'attuale crisi delle aziende occorre favorire ancor di più la mobilità nel lavoro e si devono facilitare ancor di più i licenziamenti.
La miglior risposta a provvedimenti di questo tipo vengono proprio dai lavoratori stessi, e nello specifico dalla lettera scritta dalla signora Roberta Fuso, operaia Fiat di Mirafiori, in cassa integrazione da 10 mesi, e che al referendum sul piano Marchionne ha votato no:
«Cari colleghi, da circa un anno, non siamo più le tute blu di Mirafiori, ma siamo diventati gli invisibili, non ci sentono, non ci vedono, ma noi ci siamo e respiriamo!
I padroni e i signori che ci governano ci hanno tolto tutto. L'unica cosa che non sono riusciti a portarci via è la DIGNITA', e di quella nè abbiamo da vendere (al contrario di loro).
Il mese scorso ho fatto i conti. Io mensilmente prendo oggi, in euro, quello che 33 anni fa prendevo in lire. E' vergognoso! L'unica differenza che c'è tra noi e loro, è che noi ci guardiamo allo specchio e non ci vergognamo.
Vi voglio dire un' ultima cosa. Alziamo la testa ed andiamo avanti. Non abbiamo più nulla da perdere, riprendiamoci quello che ci spetta. Colleghi, coraggio!».
Inoltre aggiunge: «Prima mi sentivo orgogliosa di essere un'operaia [...] adesso me ne vergogno perchè ci guardano male, ci guardano come fossimo morti di fame. No non siamo morti di fame, loro ci hanno tolto quello che noi abbiamo guadagnato in tanti anni.»