giovedì 3 novembre 2011

Il vaso di Pandora del default


di Leonardo Iacobucci asinichevolano.altervista.org

Ettore Livini su Repubblica qualche tempo fa spiegava, facendo riferimento ai rapporti Ubs e Citigroup, cosa succederebbe in caso di default della Grecia. Ed è uno scenario apocalittico, soprattutto sugli effetti che potrebbe scatenare:


Fase uno: l’annuncio. La costituzione Ue prevede un solo modo per uscire dall’euro. L’articolo 50 del trattato di Lisbona secondo cui l’addio può avvenire solo per decisione e volontà del paese coinvolto (anche se non prevede meccanismi per attuarlo davvero). Nel caso della Grecia, dunque, ad annunciare la decisione dovrebbe essere unilateralmente Atene quando non avrà più soldi per pagare i creditori. Lo studio Ubs è categorico. Il default deve essere uno «choc» senza preavviso. Il giorno X, dicono gli esperti, non è prevedibile sul calendario. Ma quasi sicuramente sarà un sabato. A mercati chiusi e dopo aver pianificato con gli organismi internazionali tutte le misure necessarie per ridurre al minimo gli effetti collaterali e il contagio. Questo spiega il nervosismo che ogni venerdì, ormai da qualche settimana, serpeggia sui mercati.

In caso di default, restano due strade. La prima soft (si fa per dire) — caldeggiata da Citigroup — prevede una drastica ristruttrazione del debito. Atene — stimano gli americani — ne rimborserebbe solo il 15-35% con pesanti conseguenze per i creditori ma restando nella area euro. L’alternativa è il ritorno alla dracma. Tutti i depositi bancari e gli strumenti finanziari sarebbero convertiti dalla sera alla mattina, con un’implicita drastica svalutazione. Di quanto? Le mezze misure — scrive Ubs — non servono. Meglio tagliare del 50-60% il valore della nuova moneta, come nelle crisi sudamericane degli anni ‘80 e ‘90. Citigroup punta invece al 40%. I tempi tecnici per mettere in circolazione le nuove banconote e rinegoziare i contratti internazionali rischiano però di non essere brevi, con ovvie conseguenze sulla gestione della transizione. In caso di addio all’euro, la Grecia — scrive Citigroup — potrebbe rifiutarsi di pagare i suoi debiti. E le perdite per i creditori (banche ma pure Bce e Fmi) salirebbero al 90-100%.
A quel punto ci sarà l’assalto alle banche e le ipotesi di dazi.

L’ipotesi del default e poi il suo arrivo hanno, ce lo insegna la storia, un effetto certo: la corsa dei risparmiatori in banca per svuotare i conti correnti e salvare i loro euro prima che diventino (più o meno) dracma straccia: Portandoli all’estero o nascondendoli nel materasso. Ad Atene in molti hanno già mangiato la foglia e i depositi sono calati in un anno da 240 a 180 miliardi. Dopo l’addio all’euro, per evitare nuove emorragie di liquidità, è probabile che la Grecia imponga forti controlli sui capitali, bloccando i prelievi elettronici, mettendo un tetto a quelli fisici e stringendo i controlli alle frontiere, scrive Ubs. Tutte le banche nazionali dovrebbero essere ricapitalizzate nel breve periodo per far fronte ai loro obblighi in valuta. Problemi simili avrebbero le società industriali e gli istituti esteri esposti con il paese coinvolto, costretti a svalutare gli asset interessati. Se la Grecia torna alla dracma e svaluta, l’Europa non potrà non reagire. La strada più semplice è l’imposizione di dazi doganali alle merci greche di un importo simile alla svalutazione pilotata da Atene. Salterebbero tutti gli accordi di scambio con la Ue e la conseguenza, stima Ubs, sarebbe un crollo del 50% dei volumi di commercio tra il paese e il resto del continente.

Un minuto dopo l’addio della Grecia all’euro, dice Citigroup, partirebbe l’effetto domino nei paesi più fragili della moneta unica, Italia compresa. Tutti gli investitori privati cercherebbero per prudenza di ritirare i loro soldi dalle banche e uscirebbero dai loro investimenti. Gli istituzionali farebbero lo stesso per evitare perdite e non rimanere impelagati in interminabili querelle giudiziarie. Di più: nessuno di loro, con ogni probabilità, tornerebbe a sottoscrivere debito pubblico delle nazioni più deboli. Risultato (secondo Citigroup): una disastrosa crisi del sistema bancario continentale e una profonda recessione per tutta Europa. La Grecia invece avrebbe enormi difficoltà a rimettere in carreggiata i suoi conti visto che sarebbe di fatto tagliata fuori da aiuti e mercati internazionali. I greci (calcola Ubs senza indicare direttamente il paese) pagherebbero in media nel primo anno un pedaggio tra i 9.500 e gli 11.500 euro a testa al crac, compresi i soldi necessari per tenere in piedi le banche. Gli anni successivi il costo pro capite sarebbe di 3-4mila euro. Un default controllato di Grecia, Irlanda e Portogallo con taglio del 50% del valore del loro debito e riacquisto del loro debito costerebbe ai tedeschi — dice Ubs — solo mille euro.

Infine, c’è il rischio geopolitico. E’ il capitolo più delicato dell’analisi di Ubs:
Nessuna unione monetaria, sottolinea la banca elvetica, è saltata senza qualche corto circuito geo-politico, nel senso di disordini, guerre e svolte autoritarie. Vale per l’America nel 1932-33 con il giro di vite verticista di Roosvelt, per la dissoluzione dell’Unione monetaria Sovietica, sfociata in altrettanti regimi non democratici, per i problemi della Slovacchia dopo l’addio alla unione valutaria con la repubblica Ceca e — più indietro nel tempo — per il divorzio della Gran Bretagna dall’Irlanda e quello dell’unione Latino monetaria europea attorno al 1870. Il tutto senza contare i problemi di coesione sociale interna dei paesi travolti da un evento straordinario come questo. «L’addio all’euro della Grecia avrebbe conseguenze mostruose », ha detto pochi giorni fa il Nobel Robert Mundell, uno dei padri della valuta europea. Lo stesso, fatto il loro lavoro di analisi, sostengono Citigroup e Ubs. La loro conclusione è la stessa: le autorità internazionali — scrivono — devono salvare la Grecia. Ed evitare a tutti i costi che la fanta-cronaca del default ellenico si trasformi in una drammatica realtà.

Lo stesso discorso, in toto, vale per l’Italia.
Non a caso a dirlo è la stessa Francia, che ha il sistema bancario più esposto a rischio default a causa della sua massiccia partecipazione in termini di titoli di Stato acquistati dai paesi a rischio ( Italia compresa).
L’Italia potrebbe innescare il default mondiale. Lo ha detto chiaramente l’economista francese Alain Minc, uno dei consiglieri più importanti del presidente francesce Nicolas Sarkozy. Le sue parole sono allarmanti: «Se l’Italia salta, salta la Germania, l’Europa e infine il mondo».
Berlusconi non ha intenzione di mollare, perché il suo principale timore sono le aule di tribunale e non la crisi economica che colpisce le tasche degli italiani. Se lascia, per lui è la fine. Quindi cercherà di rimanere a Palazzo Chigi il più possibile, con effetti devastanti sull’economia nazionale già in stallo. Quindi anche l’Italia si candida ad essere il detonatore del default mondiale. L’unica via di uscita è una rivolta del popolo, un lancio di monetine davanti al Parlamento, un atto di coraggio della gente esasperata, che lo costringa ad uscire di scena. Ma dubito che accadrà. Quindi la situazione può solo peggiorare.

Quali sono gli effetti di un default mondiale? La rivolta sociale. L’assalto alle grandi corporation e ai palazzi del potere, proprio come è accaduto nel 2008 quando una folla di cittadini americani voleva scotennare alcuni grandi manager e una lista di nomi importanti fu resa pubblica. Ma stavolta sarà peggio. Il fallimento delle grandi economie mondiali aprirà una voragine di impoverimento, una disoccupazione galoppante, l’accaparramento ansioso delle risorse primarie, e accenderà l’incognita di un conflitto sociale dalle conseguenze imprevedibili. Quindi il 2012 potrebbe essere l’anno della resa dei conti. Il capitalismo ingordo, beffardo, arrogante, che ha spinto la società moderna sull’orlo del baratro, sarà chiamato a rispondere. Il passaggio a una nuova era, cioè a un capitalismo ecosostenibile, potrebbe essere cruento e lasciare molte vittime sul terreno.

Per questo nessuno in Europa vuole il default: tutti sanno di che si tratta di un vaso di Pandora e nessuno (a ragione) muore dalla curiosità di aprirlo.